LEV TOLSTOJ
“I RACCONTI DI SEBASTOPOLI”
MONDADORI, MILANO, (1856) 1993, pp. 136
Questa domenica di una guerra che durerà a lungo come pronosticano facilmente i commentatori, vorrei parlare dell’esperienza di una guerra remota, che segnò la vita di un grande narratore. Qualche lettore si è lamentato della mia ripetizione del tema, ma non solo mi è difficile distrarre il pensiero dall’orrore della guerra, ma i libri che commento negli ultimi tre mesi testimoniano quanti grandi autori si sono cimentati sull’argomento per trarne un sentimento di profondo disgusto.
Questi racconti sono di fatto la prima opera di narrativa di Tolstoj, che in precedenza aveva pubblicato un solo racconto autobiografico (“Infanzia”, 1852). Il Conte Tolstoj si avviava alla carriera militare come molti giovani nobili russi dell’epoca, esperienza drammatica, da cui prenderà le distanze definitivamente alla fine della guerra di Crimea (1853-1855).
Siamo in una terra contesa e tormentata da sempre, vicinissima agli attuali campi di battaglia in Ucraina, a cui le numerose e inutili guerre nel corso dei secoli non hanno mai trovato una soluzione durevole. Tolstoj aveva combattuto e si era anche distinto per il suo coraggio nell’assedio di Sebastopoli sul famoso quarto bastione conteso ai francesi, che è ricordato in questi racconti. Gli altri eserviti in campo, gli inglesi e il contingente piemontese non vengono neppure nominati. Essi sono tre: “Sebastopoli nel mese di dicembre (1855)”, il più breve; “Sebastopoli in Maggio (1855), il più ampio e il più lungo “Sebastopoli nell’agosto del 1855”.
E’ come se Tolstoj prendesse coraggio a mano a mano che scrive. Dovstoevskij dalla sua deportazione in Siberia commentò che gli piacevano, ma pronosticò che l’autore non avrebbe scritto molto, sbagliandosi grossolanamente. In effetti la voce di Tolstoj sembra avere difficoltà a sollevarsi dalla cronaca e dallo stile dei “Diari”, che tenne tutta la vita. Il numero delle “orecchie” della mia copia mi dice che il libro mi è moderatamente piaciuto. Il primo racconto è scritto in maniera diversa dagli altri due: l’autore si rivolge direttamente al lettore descrivendogli quello che egli vedrebbe visitando Sebastopoli durante l’assedio. Il racconto attesta il taglio realistico, che Tolstoj non avrebbe più lasciato.
Nei due racconti successivi compare un tratto, che sarà fondamentale nei romanzi più famosi (“Guerra e pace”, “Anna Karanina”, “Resurrezione”), quello di calarsi all’interno dei pensieri e delle emozioni dei personaggi, che culmina nella vicenda dei due fratelli (che richiama un fatto autobiografico: l’autore partecipò all’assedio di Sebastopoli con il fratello), i quali nel terzo racconto muoiono per mano degli assedianti francesi.
E’ stata evidenziata dalla critica la messa sotto accusa della guerra, che emerge dai tre racconti, forse con un occhio alla posizione non-violenta, a cui l’autore approderà più tardi nella sua vita, dopo la conversione alla specifica forma di cristianesimo per cui fu noto in Russia come all’estero. A me sembra che il tratto principale della raccolta non sia questo: ciò che è importante ed originale è il racconto dei sentimenti più triti, che albergano nelle menti e nei cuori degli ufficiali russi, i quali rischiano la vita per conquistare i gradi, per le promozioni, per fare carriera, per non passare da codardi agli occhi dei commilitoni, che giocano d’azzardo e si ubriacano. Ciò accade soprattutto nel secondo racconto, che fu duramente censurato dalle autorità zariste proprio per “l’atteggiamento derisorio” verso “i coraggiosi ufficiali”.
E’ in questa guerra vista da dentro senza alcuna concessione alla retorica patriottarda che si intravvede la grandezza futura dell’autore di “Guerra e pace”. Qui troviamo il “significato secondo” della raccolta di racconti di Tolstoj: una presa di distanza allegorica dall’insensatezza della guerra, di questa come di tutte le altre.