ABRAHAM YEHOSHUA
“L’AMANTE”
EINAUDI, TORINO, (1977) 1995, pp. 409
In questa nuova domenica di guerra, segnata da scontri particolarmente feroci in Donbass, per ricordare il maggior romanziere israeliano, scomparso pochi giorni fa, vorrei parlare di questo libro, che fra l’altro è ambientato durante la guerra dello Yom Kippur (1973), vista sotto un’angolatura molto specifica.
Il romanzo pubblicato in quindici lingue, è stato a lungo considerato il capolavoro di Abraham Yehoshua che lo ha imposto sulla scena letteraria mondiale. Successivamente ha scritto altri capolavori. L’autore è noto per le sue posizioni politiche e culturali radicali a favore della questione palestinese, in cui è stato uno dei massimi rappresentanti della pacificazione tra israeliani e palestinesi in base all’idea di “due popoli, due stati”, anche se con un progressivo scetticismo stante l’evoluzione negativa della vicenda. Il romanzo presenta alcuni elementi stilistici, caratteristici della scrittura di Yehoshua: una struttura caratteristica molto moderna di tipo polifonico, in cui i personaggi parlano in prima persona intrecciando non solo le proprie vicende esistenziali, ma anche le proprie voci e i propri punti di vista.
C’è anche una struttura allegorica: la vicenda riguarda una famiglia, che si muove in stretto rapporto con un quadro storico preciso, quello della guerra, tracciando la traiettoria di un viaggio dal significato appunto allegorico, che ha un senso – anche geografico – del tutto opposto a quello della vicenda reale, una sorta di contrappunto critico. Mentre arabi e israeliani si scontrano in una guerra feroce, il capofamiglia Adam, che gestisce un’officina di riparazioni automobilistiche, si lancia nella ricerca del giovane amante della moglie (da cui il titolo del romanzo), oltre le linee armate del conflitto. L’incipit è fulminante e ci introduce nel cuore della vicenda: “… e noi nell’ultima guerra abbiamo perso un amante. Avevamo un amante, e da quando è cominciata la guerra non lo si trova più, è sparito”.
La vicenda è volutamente confusa con una mescolanza di voci, storie, emozioni, che è in primo luogo sessuale. Ciò rappresenta l’emersione di una trasgressività libidica inconscia. Un marito trova l’amante per la vecchia moglie, un intellettuale delusa, a cui è morto un figlio. Quando l’amante durante la guerra del Kippur si perde, fa di tutto per ritrovarlo, anche se poi la conclusione, che lascio come a solito alla curiosità del lettore, sembra finire in un nulla di fatto e Adam dovrà cominciare tutto da capo. E’ come se i due coniugi avessero bisogno di un terzo per ricominciare la loro storia dopo la morte del figlio.
È un triangolo paradossale, che capovolge il classico triangolo borghese e che avvia una serie di altri triangoli, di analogo significato trasgressivo. Adam trova il modo per portarsi a letto l’amichetta di Dafi, sua figlia, e Dafi trova il modo di trovarsi come amante il ragazzo palestinese, che lavora nell’officina del padre. Quest’ ultima storia sembra il futuro auspicato da Yehoshua dell’integrazione ebraico-palestinese. È proprio questa che mi pare essere la mescolanza vera, quella del sangue, con una critica forte dell’ideologia sionista, che il libro indica chiaramente come il fondamento dello stato di Israele.
L’autore ha scritto un saggio in merito “Antisemitismo e sionismo” (2004). L’azione è concentrata durante la guerra del Kippur e le speranze degli anni Settanta stanno in questa coincidenza, nella ribellione alla guerra dell’alter ego di Adam, lo svanito amante Gabriel Arditi (un nome che è un programma, una fusione tra l’arcangelo dell’annunciazione e l’ardimento), e nella ricerca che ne fa Adam, mentre tutti gli altri pensano alla guerra.
I passaggi più belli e carichi di ironia riguardano la storia dei due ragazzi, di Dafi e il suo giovane “amante” palestinese, Na’im, il ragazzo che sta simpatico anche alla smemorata vecchia di casa, Vaduccia. I giochi di rimando da un racconto all’altro sono pagine di letteratura davvero grandi, in particolare il duetto Dafi- Na’im. Rispetto all’alienazione disumana della guerra la vita si prende la sua rivincita. Questo sembra essere il senso secondo del libro, la morale trasmessa al lettore.