CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Quando malauguratamente abbiamo la necessità di fare delle iniezioni è tutto molto semplice: siringhe monouso, aghi super sottili e dopo un po’ di prove siamo in grado, chi più o chi meno, di praticare “la puntura”.
In un tempo non troppo lontano non era così, anzi era abbastanza complicato. La mancanza di strumenti idonei a perdonare anche chi aveva la mano pesante faceva si che dovessimo rivolgerci a persone in grado di praticarci le iniezioni in maniera sicura e il più indolore possibile.
Queste signore erano tuttavia il terrore di noi bambini perché la puntura era sempre la puntura. Era anche l’armamentario che incuteva il terrore: Lorina, Marianna ed Ersilia, ma anche poche altre, erano le “punturatrici” ufficiali del paese, si dividevano le zone.
Prestavano la loro opera in casa ma più spesso nelle nostre case. Il giorno stabilito si cominciava a vedere vicino alla cucina economica quell’astuccio di metallo con dentro siringa e ago immersi nell’acqua in attesa della bollitura
Poco più in la la bottiglia con l’alcol e il cotone idrofilo e la scatoletta di farmacia
L’ansia cominciava a prendere campo e dopo il suono del campanello l’ansia si trasformava in paura. “Cosa deve fare? Penicillina?”. “Eh si, la solita bronchite…”
E qui cominciava il rito. Montaggio della siringa e dell’ago, apertura della scatola, estrazione della bottiglietta, il riempimento… L’odore dell’alcol faceva da contorno
“La facciamo in piedi o sdraiato?”
A quel punto non capivamo più niente ma la maestria delle inoculatrici ci faceva dire come in quella pubblicità odierna “già fatto?”.
Oggi mi torna in mente, nel guardare quel film di Verdone dove il camionista che fa l’iniezione alla nonna dice “questa mano po esse fero e po esse piuma”.