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GROSSETO – Il futuro della zootecnia in Maremma e le nuove strategie per una produzione innovativa e sostenibile dell’olio extra vergine di oliva.
Sono i temi che Cia Grosseto ha scelto come argomenti cardini per i due convegni realizzati nel corso della Fiera del Madonnino. “È fuori discussione che le questioni che affliggono il settore primario sono tante – ha precisato il presidente della Confederazione Claudio Capecchi – ma vista la platea dei visitatori e le caratteristiche di questo territorio si è ritenuto opportuno analizzare, e cercare di dare eventuali risposte, a questi due settori”.
Nel suo intervento il presidente ha sostenuto che “la zootecnia deve fare i conti con nuove ed inaspettate avversità: l’aumento vertiginoso dei prezzi dell’energia e delle materie prime che fanno lievitare i costi di produzione, le difficoltà nel reperire ciò che serve per poter lavorare e, non ultimo, la caduta libera dei redditi”.
“Tutto questo – ha aggiunto – va a pesare su un settore che da anni soffre a causa di problemi mai definitivamente risolti come quello del cambio generazionale e di un reddito agricolo insufficiente per poter investire, innovare e ammodernare. Non va poi dimenticata la questione oramai atavica della fauna selvatica e dei predatori che oggi rappresentano le principali cause di abbandono del settore”.
Il seminario ha voluto però guardare avanti individuando percorsi che possono essere attuati per tutelare e rafforzare la zootecnia come il miglioramento genetico, l’ammodernamento delle aziende, quello della salute e del benessere animale, oltre agli obiettivi contenuti nella nuova Pac che prevedono la riduzione dell’uso degli antibiotici e la diffusione dell’energia sostenibile.
“A livello internazionale l’Italia rischia di perdere la sfida della competitività dell’olio d’oliva e per molti la risposta è quella di cambiare modello di produzione e di passare a quello super-intensivo, come sta già accadendo in Maremma – ha proseguito Capecchi introducendo il secondo tema della giornata -. Un sistema colturale che prevede la scomparsa del concetto di albero singolo e l’introduzione del concetto di parete produttiva; un modo di coltivare l’olivo che permette di produrre olio extravergine a costi ridotti. “Una metodologia che non contestiamo ma che, a parere nostro, muove alcuni dubbi legittimi. Non basta infatti che questa abbia più capacità produttive, la super-intensiva deve essere anche in equilibrio con gli indirizzi di carattere globale che sono quelli dei percorsi produttivi assolutamente sostenibili”.
Gli impianti, ha precisato, prevedono circa 1.200 alberi ad ettaro a gestione meccanica integrale, sia nella raccolta delle olive che nella potatura, abbattendo, in questo modo, drasticamente i costi di produzione. A preoccupare la Confederazione è però il fatto che le coltivazioni intensive hanno bisogno di tecniche agronomiche che potrebbero avere delle conseguenze preoccupanti per il territorio come, per far un esempio, la necessità di utilizzare un grande quantitativo di acqua.
“L’acqua è una risorsa fondamentale e non solo per il mondo agricolo ma per tutto il settore produttivo locale a anche per i cittadini – ha spiegato Capecchi – Questa risorsa sta scarseggiando anche a causa delle bizzarrie climatiche; è dunque fondamentale capire quanta ne servirà e che tipo di approvvigionamento idrico sarà utilizzato per garantire la resa produttiva. Come Confederazione stiamo lavorando per cercare risposte alla carenza idrica nei mesi di siccità e dall’altra per arginare e limitare, quanto più possibile, i danni causati dalle violente precipitazioni che caratterizzano il nostro territorio, per questo è fondamentale capirne l’utilizzo. Crediamo che oggi la sfida sia quella di lavorare, in modo coerente e non pregiudizievole, per far convivere l’ olivicoltura che ci ha identificati a livello internazionale, con le nuove esigenze del mercato e la necessità di essere competitivi. Nessun giudizio negativo a priori dunque, ma è importante che queste nuove scelte siano in accordo con la sostenibilità ambientale e non erodano il reddito di quell’agricoltura che è insita nella nostra tradizione e che è stata valorizzata dal disciplinare del Consorzio IGP Toscano che ne identifica qualità e caratteristiche organolettiche”.
“Con questi incontri pensiamo di aver buttato le basi per una proficua discussione attraverso un approccio non ideologico, che dovrà tener conto della necessità di recuperare quota nei mercati mondiali senza però svilire la nostra storia e la nostra agricultura da sempre dedita all’altissima qualità, che ha dimostrato, negli anni, una grande capacità di resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici”.