di Barbara Farnetani
GROSSETO – Prezzo del latte ovino troppo basso, costi di produzione triplicati, concorrenza di latte che viene da fuori, predatori e la mancanza di credito da parte delle banche. Sono molti i temi sviscerati questa mattina nell’incontro “Latte ovino toscano: obiettivo accordo di filiera” organizzato da Cia Toscana a Grosseto. «La scelta di organizzare qui questo incontro – ha affermato Enrico Rabazzi (al centro nella foto), presidente provinciale Cia e vicepresidente regionale – dipende dal fatto che in Maremma c’è il 50% del patrimonio ovino regionale. Il comparto ovicaprino per la nostra terra – ha continuato Rabazzi – è un settore che fa economia come la fiat per il Piemonte. Abbiamo importanti caseifici, che danno lavoro a tante persone. Eppure la crisi sta attanagliando il settore. A questa si aggiunge la siccità del 2012 e la troppa pioggia dei tre anni precedenti che non ha consentito il pascolamento con relativo uso di mangimi e costi aggiuntivi.»
«Serve un nuovo accordo di filiera, per salvare l’allevamento ovino in Toscana. E serve di tutelare il prodotto toscano che deve essere fatto, sempre, solo con latte toscano» ha detto Giordano Pascucci, presidente della Cia Toscana, regione in cui sono presenti oltre 2.000 allevamenti sul territorio regionale, di cui il 55% nella sola provincia di Grosseto ed il restante, prevalentemente, nelle province di Siena, Pisa, Firenze, Livorno e Arezzo. In regione sono poi presenti 550mila capi e si producono 45 milioni di litri di latte (ma in Toscana se ne lavorano 80 milioni).
«Il prezzo del latte è fermo agli anni ’90, tra 0,72 e 0,87 centesimi al litro, praticamente non si garantisce neppure il mantenimento della pecora, che costa un euro, figurarsi del pastore – prosegue Enrico Rabazzi -. Bisogna rafforzare la filiera, promuovere i prodotti, cercare nuovi mercati emergenti. Valorizzare l’agnello da cucinare tutto l’anno e non solo a pasqua magari inserendolo nelle mense scolastiche, cercare di far si che la lana, invece che rifiuto da smaltire, venga remunerata almeno quel tanto che costa la tosatura.»
«Il pecorino toscano – ha detto l’assessore provinciale all’agricoltura Enzo Rossi – rischia di essersi fermato anche per quanto riguarda i gusti dei giovani consumatori, bisogna adeguarlo alle nuove richieste del mercato, grazie alla ricerca». E poi ha aggiunto «si esce dalla crisi se si ottimizza ogni pezzo della filiera, togliendo tutti gli sprechi della filiera» «Bisogna intervenire con la filiera corta – gli fa eco Rabazzi -, lavorare con le mense e gli ospedali così da inserire il pecorino toscano che ad ora non è contemplato» sono tante le idee che il presidente della Cia ha per cercare di ridare vigore ad un settore che negli anni ’90 era in attivo e adesso è costretto a chiedere lo stato di calamità. I caseifici sono perlopiù cooperative che non hanno forza sufficiente per affrontare i mercati e decidere i prezzi, bisogna puntare sulla tracciabilità del latte «non perché quello Toscano sia migliore a priori, ma perché il consumatore deve poter scegliere.» Secondo Rabazzi bisogna incentivare il Consorzio del pecorino toscano Dop, servono servizi alle aziende, sostegno per lo smaltimento delle carcasse «Consentire la destagionalizzazione a chi la vuol fare, senza imporla, ma garantendo risorse a chi vuole tentare. Serve innovazione – sottolinea il presidente Cia – migliorare gli aspetti genetici delle razze, studi e sperimentazioni per capire se c’è la possibilità di produrre meglio.»
Rabazzi non tralascia i problemi causati dai predatori: lupi, cani, ibridi e cinghiali, «per cui lo stato può e deve fare di più. La provincia, con l’assessore Enzo Rossi, sta facendo molto, ma quanto fatto non risolve il problema lo attenua soltanto. Possiamo intervenire sui cinghiali – continua Rabazzi – sugli altri predatori è più difficile. La normativa europea protegge il lupo, ma se è a rischio l’economia di una comunità si potrebbe intervenire. Il punto è che il governo non chiederà mai queste deroghe a causa delle lobby trasversali di quelli che sono “malati di animalismo”. Provocatoriamente avevamo chiesto di sparargli, e invece se catturi questi cani ibridi non possono essere sprressi, ma si dovranno togliere risorse magari alle scuole o al sociale per mantenerli in recinti»
Rabazzi chiede poi la modifica delle regole per il consorzio del pecorino, in cui ai produttori spetta solo il 33% mentre serve una partecipazione paritetica. «L’Europa – prosegue – ha assegnato all’Italia 100 milioni di euro per il sociale per l’aiuto agli indigenti (ad esempio la Caritas). Di questi circa 11 milioni negli anni scorsi andavano al settore del formaggio. Chiediamo che la regione si attivi per portare a casa qualche milione. Questo consentirebbe alle aziende di smaltire le giacenze e darebbe una boccata d’aria alle aziende» Rabazzi ha poi concluso con una proposta: Unire gli allevatori in una sorta di Organizzazione dei Produttori virtuale, dove chi va a trattare lo fa a nome di tutti, vendendo non la propri produzione ma quella di tutto il gruppo di allevatori che ne fa parte, con maggiori possibilità di strappare condizioni migliori.