EMANUELE TREVI
“DUE VITE”
NERI POZZA, VICENZA 2021, pp. 125
Questo breve libro ha vinto l’edizione de premio Strega di quest’anno. Presenta alcuni motivi di interesse a cominciare dalla difficile attribuzione ad un genere. Viene “venduto” come romanzo, ma è difficile che si possa individuarlo come tale per quanto si dilatino oggi i confini del genere. Racconta con una modalità realistica e poco romanzesca la storia di “due vite”, quelle di due scrittori amici intimi dell’autore, scomparsi precocemente, Rocco Carbone (1962-2008) e Pia Pera (1956-2016). Si parla dei loro libri, della loro produzione saggistica e narrativa. Ne è testimonianza una sorta di bibliografia finale, intitolata “Materiali”. Da questo punto di vista è simile ad un saggio, dall’altra le due vite sono narrate sul filo dei ricordi dell’autore, che ha anche curato in una sorta di scrittura seconda il libro postumo di Rocco Carbone (“Per il tuo bene”, 2009). Sotto questo profilo è un “memoir”, un libro di memorie, inteso come un sub-genere dell’autobiografia o della biografia, come in questo caso.
Quindi si tratta di un libro, o se vogliamo in senso lato di un romanzo, trans-genere, che è una caratteristica dell’allegoria moderna. In effetti un riferimento all’allegoria è contenuto nel libro, quando si parla del romanzo di Rocco Carbone, “L’apparizione” (2002). Secondo Trevi si tratta del “suo capolavoro … la perfetta messa a punto di un metodo allegorico che è la caratteristica principale della prosa narrativa di Rocco”; in particolare nell’uso allegorico della “personificazione”, per cui “ogni sorta di emozione, perturbamento, desiderio può essere raffigurato nelle sembianze di una persona” . Un procedimento analogo è quello che Trevi descrive a proposito del rapporto di Pia Pera con il proprio giardino, ricavato nel podere di famiglia, in cui la scrittrice si ritira nell’ultima fase della sua vita. Ella non solo accudisce amorevolmente, ma gli dedica tutta la sua ultima produzione letteraria. “Il terreno considerato come una pagina e la coltivazione come scrittura – e viceversa”.
Da questo punto di vista (ed è una forma di gioco isomorfo) i due personaggi, Rocco e Pia, possono essere considerati la personificazione di due diversi movimenti affettivi di Trevi: una prima coppia è quella del sadico e del masochista, un’altra più profonda è la natura esigente di Rocco e quella accudente di Pia. Vista così, le “due vite” costituiscono un gioco di rimandi come tra due specchi. E’ la spiegazione di cosa sono le “due vite”, richiamate esplicitamente dal titolo, e che non sono solo quelle di Rocco e di Pia. “Noi viviamo due vite, entrambe destinate a finire: la prima è la vita fisica, fatta di sangue e di respiro, la seconda è quella che si svolge nella mente di chi ci ha voluto bene”. Questo “doppio” da una parte ha un riferimento junghiano: “la nostra esistenza, che trascorre tutta intera nella carne e nei suoi bisogni, possied[e] anche un’ombra, una quintessenza che la porti fuori da se stessa”; dall’altra ha un riferimento materialistico, che nel mentre rifiuta uno sbocco religioso alla morte (“la grande e interminabile festa del Nulla”), la contrasta nel ricordo dei vivi (“E, quando anche l’ultima persona che ci ha conosciuto da vicino muore, ebbene, allora davvero noi ci dissolviamo”). Dobbiamo ricordare che Trevi è figlio di un noto psicoanalista junghiano, ma sembra avere una posizione divergente da quella “neo-religiosa” di Jung. Tutto questo serve a fondare un’idea della scrittura, che è capace di “evocare i morti” e attraverso la memoria della scrittura garantirne una qualche sopravvivenza.
Le due pagine appena citate, introducono più profondamente il tema della morte, che insieme a quello dell’amicizia è il tema fondamentale del libro. Non è casuale a mio avviso il sogno che rende angoscioso il sonno dell’autore dopo la morte di Rocco: “mi risvegliavo con il cuore che batteva fortissimo, ricoperto di sudore, pervaso dalla sensazione di aver intravisto qualcosa di tanto intollerabile da farmi scappare dal sonno”. Di questo sogno Trevi dà un’interpretazione “occultista”: “quel sintomo così fastidioso legato al sopraggiungere del sonno, non era una conseguenza dello shock dovuto alla morte improvvisa di Rocco… non si trattava di un semplice riflesso psicologico: era Rocco stesso … smarrito e spaventato di fronte al Grande Buio, il suo spirito si era insediato nel mio sonno”. Più semplicemente o materialisticamente penso che la cosa “intollerabile” intravista da Trevi è un’emersione potente del suo inconscio, la paura della morte stessa. Della natura di questa emersione vi sono molte tracce nel libro, ma questo richiederebbe un’indagine più approfondita della presente. Ciò è richiamato nel capitolo finale, dedicato alla morte di Pia, molto delicato e commovente, che lascio alla curiosità del lettore, come al solito, con due sole indicazioni: il richiamo del quadro di Courbet, l’ “Origine del mondo”, di cui si parla all’inizio del libro e alla fine (p.119-120); e la “paura della morte”, che invano Eros cerca di contrastare.
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