CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Per conoscere la “maremmana” bisogna avere qualche annetto, non dico tanti ma… abbastanza.
Chi sa cos’è ricorderà sicuramente che nel momento topico (temporali, venti forti. oppure “ululati di pulcini”) la luce se ne andava e via di corsa a cercare le candele, tenute sempre a portata di mano, estate ed inverno. Proprio così perché “ la luce” poteva andar via in qualsiasi istante, di giorno o di notte.
Babbo in tabaccheria, ma chiamarla solo così mi pare veramente riduttivo, aveva una scorta di candele steariche bianche che a volte però non erano sufficienti a soddisfare le richieste, ed allora riusciva a piazzare anche le candele colorate, avanzate dal Natale, o moccoli e lumini vari, avanzati dal periodo dei “morti”.
In casa tutti ne tenevano una scorta perché non mancava certo l’occasione per poterle accendere…
Quando la mancanza di corrente avveniva durante la proiezione di un film, al cinema Roma o “dal prete”, poteva capitare di tutto. Questo era uno dei motivi che ci spingevano ad avere accanto il nostro soggetto del desiderio: casomai, nel buio… un’effusione ci poteva stare…
Poi improvvisamente ritornava la corrente e con essa scompariva quella intimità. E allora risuonavano i “mmmmmmm… proprio ora, accidenti alla maremmana”. L’andare e tornare della luce poteva condizionare l’esito di una relazione…
Gli ospiti estivi, ormai avvezzi a questa situazione, informavano i nuovi arrivi consigliando oltre all’acquisto delle candele anche di mazzi di carte con cui ingannare il tempo nelle calde notti estive senza corrente elettrica.
Si diceva che fosse proprio l’affluenza estiva a condizionare l’efficienza del servizio per i troppi chilowatt necessari anche se, in realtà, era la vetustà degli impianti a decretarne il default perché d’inverno era esattamente la stessa cosa, anzi, a dire il vero, avveniva con più frequenza.
Anche oggi, quando si interrompe l’erogazione della corrente mi viene da dire “accidenti alla maremmana”.
Le sere d’inverno, di quegli inverni dove per le strade del paese non passava anima viva, improvvisamente, appena buio, cominciavano a muoversi dei personaggi armati di staccio, secchio e lampada a petrolio… e la banchina s’illuminava.
Erano luci fioche, ben distanziate le una dalle altre, che si allungavamo fino a coprire il perimetro della fiumara nel tratto che va tra il ponte e il cantiere navale nel lato dalla parte della spiaggia di levante, e dal ponte allo scivolo nella parte di fronte all’Approdo. Era il tempo delle ceche anzi delle “cee”, di quel novellame bianco così prelibato e nello stesso tempo così “proibito” anche allora.
Le vedevi arrivare come uno sciame bianco che colorava le scure acque del porto canale e l’abilità nel passare lo staccio nell’acqua le faceva poi brulicare all’interno della rete così fitta da non permettere loro scampo.
Cerate, cappelli, stivaloni di gomma facevano da corredo a quegli uomini intenti a procurarsi qualche etto di quel prezioso pescato idoneo a soddisfare le voglie di loro stessi e delle famiglie ma anche di chi si poteva permettere di sborsare cifre inusuali per quei tempi.
La pesca veniva “tollerata” anche perché nessuno se ne approfittava limitandosi a pescarne quantità accettabili “all’uso personale” o poco più.
Oltre ai professionisti, non era raro vedere pescatori improvvisati che si limitavano ad una o due passate fatte con stacci di fortuna, a volte con colapasta o con colini su cui veniva semplicemente collegato un pezzo di canna e adagiato un pezzetto di rete fitta.
Nonostante il rito si consumasse quasi ogni sera, le quantità di novellame in transito permettevano di tornare a casa con quantità soddisfacenti ed appaganti per ogni pescatore, professionista o improvvisato che fosse.
Poi il periodo del passaggio terminava, e nelle fredde serate invernali tornava il silenzio rotto solo dallo sbattere delle sartie sugli alberi delle barche e dal miagolio implorante di qualche gatto in cerca d’amore.
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