CASTIGLIONE DELLA PESCAIA – Quando entravo in negozio, da babbo, oltre all’odore del tabacco quello che mi colpiva era il profumo delle matite, dei libri, della cartoleria, dei “lapissi” appena appuntati con la macchinetta rossa attaccata al banco vicino al contenitore delle caramelle al rabarbaro. Il profumo della matita Rossa e Blue con cui le maestre, anzi le Signore maestre, ci correggevano i pensierini o il calcoli di aritmetica. Era lo stesso profumo che avrei sentito più tardi a Grosseto entrando dal Guastini o dal Lazzeri.
Proprio così quando ero ragazzetto erano i profumi a caratterizzare le botteghe e i negozi.
Da Libero era il cuoio e la pece, da Bindo le vernici, i detersivi e la lisciva, dal Porrini e dal Nassi il caffè e il vino, dal Ciacci la farina e i dolci, da Celso la pizza, da Lina le stoffe, dal Soldati il baccalà, insomma odori, profumi, essenze, ricordi. Tutto questo per cercare di capire il perché l’olfatto mi aiuta così tanto a ricordare la mia infanzia.
Nella “Fritta” l’odore era quello della muffa ma quello che più mi colpiva e mi colpisce ancora oggi è l’odore della fiumara. Un misto tra il pesce e la nafta. Non è “puzzo” e neppure “profumo” ovviamente, è odore! Cambia in continuazione nel tratto che va dal Ponte al molo Rosso. Vicino al Ponte è l’odore di fango che prevale, proprio lo stesso che sentivo quando andavo a cercare la tremolina o la creta per lavorarla. Più avanti dopo lo Yacth Bar, dove prima c’era lo scivolo, è l’odore della salsedine mista alla benzina come quello che sentivo mentre il Manzoni alava le barche. Stesso odore fino al Monumento da dove comincia a prevalere quello del pesce, identico a quello che sentivo provenire dalla Cooperativa la Triglia, fino a divenire “profumo” di mare all’inizio degli scogli dove Pietro immergeva le balle piene di cozze.
Tutto racchiuso negli odori.
Tutto dentro un “lapisse”.
Poi a settembre, la sera, lungo la fiumara ci fermavamo da “Vapore”. Trovavamo Luciano e Rosetta pronti ad accogliere le nostre richieste, ci sedevamo fuori. Per noi era il ritrovo di fine stagione, il luogo migliore per ritemprarsi, per “fare il punto della situazione” per raccogliere le forze prima del rientro in città.
“Un caffè, un deca e due bicchieri di minerale”; senza chiedere altro Vapore inseriva nel mio due palline di aspartame ed eravamo a posto. Sorseggiavamo quei caffè sperando durassero a lungo per non lasciare che il tempo scorresse. Da quel luogo privilegiato osservavamo il passeggio chiacchierando del più e del meno, con tranquillità, e avvertivamo lo svolgersi lento ma inesorabile del tempo; l’estate che controvoglia lasciava Castiglione per trasferirsi altrove.
Davanti i pescherecci ormeggiati che “raccontavano la loro storia”. Sì perché Vapore conosceva il mare, le abitudini dei pescatori e le storie degli equipaggi. Alcuni di quei pescatori ci facevano compagnia con le loro mogli o fidanzate mentre raccontavano le loro fatiche già pronti per la “levata notturna delle tre” E io ero affascinato da quei racconti di fatica e soddisfazione che mi facevano ricordare le sere in cui aspettavo insieme ad Anna il rientro del Luigiotto. Poi arrivava Cino che si sedeva a gustarsi un gelato nel bar dei genitori.
Una chiacchiera tirava l’altra e i racconti di mare erano così belli che ogni sera aspettavamo quel momento per goderne. Dopo un po’ lasciavamo il posto e ci incamminavamo verso il molo rosso per sederci nel bordo circolare a guardare il panorama. Stavamo lì silenziosi, quasi attoniti permeati e quasi invasi da quella vista. Il mare, la spiaggia, il castello, le luci lontane erano il nostro Mexico, eravamo sul porto, un Puerto “scondito”.
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