GROSSETO – C’è preoccupazione – ma anche qualche filo di speranza con le riaperture – tra i rappresentanti delle categoria economiche e i sindacati per la crisi innescata dall’epidemia da coronavirus. I numeri del rapporto Irpet presentato oggi raccontano di perdite a due cifre, con l’incognita di 94 mila posti di lavoro ibernati con il blocco dei licenziamenti che solo nei prossimi mesi si vedrà come potranno essere recuperati.
“Sono numeri che danno l’idea di una fase di una crisi acuta con riflessi economico sociali potenzialmente gravissimi – commenta l’assessore all’economia Leonardo Marras, intervenuto in apertura di seminario – Dobbiamo recuperare presto la vocazione internazionale della Toscana con il turismo e settori più esposti ai mercati internazionali, fra tutti il comparto della moda”. “Dobbiamo farlo – aggiunge – grazie al Recovery Plan con investimenti pubblici e attraverso la nuova programmazione comunitaria, con il confronto con il tessuto produttivo, le rappresentanze delle imprese e i sindacati”.
“E’ evidente – spiega – che dobbiamo avere strumenti pronti. Servono provvedimenti che aiutino le imprese a ritrovare spazio per nuovi investimenti. Dobbiamo evitare che la fase critica di transizione non si traduca in una fase tragica dal punto di vista sociale”. “Il governo – conclude Marras – sta presentando il proprio piano alla Commissione europea. Le Regioni e quindi anche la Toscana devono seguire con attenzione e poi applicare con precisione quello che sarà il complesso di iniziative che il Recovery darà all’Italia”.
“Formazione e lavoro” sono invece i grandi temi della ripartenza secondo l’assessora Alessandra Nardini, che il seminario, ricco di spunti e durato oltre due ore, l’ha concluso.
“Dobbiamo superare – dice – il disallineamento che ancora esiste tra le competenze che escono dal sistema scolastico e universitario e le esigenze delle nostre imprese e del nostro tessuto economico-produttivo. Da questo punto di vista occorre più integrazione tra formazione e lavoro: un obiettivo centrale per garantire occupazione e per aumentare innovazione e competitività delle aziende”.
“Oggi però – sottolinea – non possiamo limitarci a dire che vogliamo difendere e aumentare l’occupazione. Dobbiamo anche dire che vogliamo un’occupazione stabile e sicura, che vogliamo creare lavoro di qualità e non sottopagato. Questa deve essere la nostra prospettiva e la nostra ambizione”.
“Credo che questa pandemia debba farci riflettere e ripensare il nostro modello di sviluppo e le nostre priorità – prosegue – E aggiungo che dobbiamo insistere sulla questione dell’occupazione femminile. Nel nostro programma di legislatura abbiamo voluto inserire il progetto ATI, dedicato al tema del lavoro e dell’emancipazione delle donne, perché crediamo che un paese e una regione che non scommettono sul talento, sulle competenze, sulle potenzialità del mondo femminile rinunciano a fare il salto di qualità necessario in questo momento e più in generale a una vera ripartenza in tutti i settori”. “Giovani, donne, occupazione stabile e di qualità – conclude Nardini – devono essere le parole d’ordine, perché non possiamo permetterci di lasciare qualcuno indietro e soprattutto non possiamo tradire il Dna della Toscana, che è sempre stata una terra di lavoro ma anche di diritti e dignità del lavoro”.
Il Rapporto Irpet: seminario
Gli ultimi mesi hanno lasciato una ferita profonda nell’economia, sottolinea l’Irpet, istituto regionale per la programmazione economica. Un anno dopo la pandemia da coronavirus, ancora non conclusa, gli ingranaggi del motore principale della Toscana, quello spesso legato all’export e in passato più capace di generare ricchezza e sviluppo, risentono pesantemente ancora della crisi. E il consiglio di Irpet (qui il rapporto integrale) è quello di spingere sugli investimenti e farlo con rapidità, utilizzando per questo la più ampia quota possibile delle risorse europee a disposizione e ripartendo dalle imprese più dinamiche capaci di generare negli anni reddito ed occupazione. Ce n’era un nucleo apprezzabile, prima della pandemia, e la sfida è quella di innescare ulteriori nuove esperienze positive. Un percorso lungo fatto di piccoli passi, con lo sguardo volto al medio periodo ed ‘efficienza’, come parola chiave, affiancata a ‘sostenibilità’.
La crisi mondiale frena l’export
La recessione innescata dalla pandemia ha indebolito la Toscana centrale e i sistemi tradizionali del ‘made in Italy’. Si parte da qui in un confronto on line organizzato da Irpet, presenti politica e rappresentanti del mondo economico, che vuole essere bilancio ma anche laboratorio di nuove prospettive. Nel 2020, si spiega, è arretrata la produzione industriale (-14,7 per cento) e sono crollati per la prima volta i servizi (-11,3 per cento). Sono stati bruciati 14 miliardi di euro di Pil, una caduta che riporta il prodotto interno lordo regionale ai livelli di venticinque anni fa: il calo è del 12 per cento, superiore al meno 8,9 nazionale – per via della maggiore dipendenza dell’economia toscana dall’export, che in passato l’ha fatta invece crescere più di altre regioni – e che è tre volte quanto perso nel 2009, che era stato il peggior anno dopo la crisi finanziaria americana, quando la flessione del Pil fu di quattro punti.
Ad essere colpiti sono stati stavolta in particolare la moda e l’economia del tempo libero (dalla ricettività alla ristorazione alle attività ricreative). Tengono agroalimentare, farmaceutico e attività legate all’uso dell’informatica. La recessione ha per di più colpito le categorie più fragili: giovani, donna e immigrati. E molti sono scivolati verso il basso nell’ordinamento sociale: i lavoratori (sia autonomi sia dipendenti) e tra questi, più di altri, le giovani coppie con figli.
Ripresa del Pil ma rischio licenziamenti
Nel 2021, stima l’Irpet, il Pil toscano tornerà a crescere con un più 3 per cento: un ripresa più lenta di quanto atteso e minore che nel resto d’Italia, legata ancora alle dinamiche dell’export. La previsione, aggiornata a marzo, deve peraltro fare i conti con un virus che più volte ha spiazzato le stime degli economisti. Ma con la fine del congelamento, per legge, dei licenziamenti economici, rischiano di aumentare i poveri assoluti, ovvero quelle famiglie e persone che non possono permettersi neppure le spese minime per condurre una vita accettabile. Se ne potrebbero contare 58 mila in più, nel caso di 33 mila licenziamenti.
Il 2020 ci consegna del resto già 23 mila posti di lavoro persi e 94 mila congelati, ibernati dall’eccezionale ricorso agli ammortizzatori sociali. In tutto 24 milioni di giornate di lavoro in meno, traducibili in 908 milioni di euro di retribuzioni sparite in Toscana dalle tasche dei lavoratori. Con gli autonomi, i posti di lavoro persi nel 2020 salgono a 158 mila.
I settori più colpiti
Il grande malato è il turismo, ma gli fanno buona compagnia, dentro al manifatturiero, la meccanica, la pelletteria, il cuoio e le calzature, il tessile e l’abbigliamento e, nei servizi, commercio e trasporti. Nel 2019 il 44 per cento delle lavoratrici e lavoratori rimasti senza impiego trovavano una nuova significativa occupazione entro sei mesi, mentre nel 2020 mediamente ci è riuscito solo il 35 per cento (e ancor meno tra giovani, stranieri e donne).
Soffrono le aree più forti, come i distretti di Prato, San Miniato ed Arezzo. I sistemi legati al manifatturiero tipico del ‘made in Italy’ hanno subito un contraccolpo maggiore dei sistemi locali turistico balneari. Sono nate cinquemila imprese in meno di quelle che, sulla base dell’andamento del recente passato, uno si sarebbe immaginato. L’incertezza ha infatti scoraggiato l’avvio di nuove attività imprenditoriali. Le imprese attive fortunatamente si sono ridotte, per ora, solo dello 0,4 per cento. Ma alta rimane l’incertezza sul futuro, visto che il 62 per cento delle aziende attende un’ulteriore diminuzione del fatturato nei prossimi mesi. Solo il 6 per cento prevede nel 2021 di aumentare gli investimenti.
Bonus e ammortizzatori sociali
La crisi ha già ridotto i redditi delle famiglie: sono calati mediamente del 3,8 per cento (1.650 euro in meno in un anno), ma sarebbero diminuiti del 7,8 per cento (3.400 euro) senza bonus e ammortizzatori sociali. Così come sarebbero stati assai di più i nuovi poveri: nel 2020 se ne sono contati alla fine in Toscana 16 mila in più (121 mila in tutto), ma ce ne sarebbero stati, senza gli aiuti pubblici, altri 123 mila. Il che non esclude che quei 123 mila siano comunque finiti nel 2020, per qualche tempo e in qualche momento, nella condizione di povertà assoluta.
Il ‘tesoretto’ (per la Toscana) dei risparmi forzati
I consumi sono comunque diminuiti più dei redditi disponibili. L’incertezza sul futuro – o semplicemente l’impossibilità di viaggiare o andare al ristorante – ha generato un risparmio forzato. E questo alla fine potrebbe rivelarsi un vantaggio per la Toscana, appena tutto ripartirà, perché, in un sistema produttivo fortemente orientato alla produzione di beni di consumo e servizi legati al tempo libero come quello toscano, l’effetto rimbalzo potrebbe alla fine rivelarsi più elevato. Un ‘tesoretto’ a cui attingere, assieme ai fondi del Next generation Europe che potrebbero valere per la regione 12 miliardi da qui al 2026 (due miliardi l’anno).