GIORGIO FALCO
“IPOTESI DI UNA SCONFITTA”
EINAUDI, TORINO, 2017, pp. 381
Il romanzo di Falco non mi è piaciuto: ho segnato un numero elevato di pagine come interessanti (eccetto uno specifico capitolo), ma a un certo punto mi sono accorto della contraddizione: segno le pagine più interessanti, esse sono tante, ma il giudizio complessivo è negativo. Falco è un autore possiamo dire affermato: ha 51 anni, ha esordito nel 2004, con il suo “La gemella H” (Einaudi, 2014), è stato finalista del Campiello (lo racconta nel libro), ha vinto il Super-Mondello e il Premio Volponi. Il romanzo in esame ha avuto molte recensioni positive, ma la lettura ha deluso le aspettative. Si tratta di un romanzo autobiografico senza schermi, diretto, in senso stretto neppure un’ autofiction – come si dice oggi -, che narra l’intera parabola del protagonista dalla giovinezza all’età adulta, in particolare il rapporto con il padre, autista di autobus dell’ATM milanese, emigrato dal sud nel dopoguerra, con il doppio lavoro di insegnate di scuola guida. Il protagonista è in perenne conflitto con se stesso adulto: passa da un lavoro all’altro (ad ogni esperienza è dedicato un capitolo del romanzo) e “sempre più aggrappato/arreso alla letteratura” come ha scritto Giovanni Turi. La scrittura è l’approdo di una sconfitta esistenziale, che rende conto del titolo, una sorta di ripiego rispetto all’esistere, “una resa” per niente antagonista. Se ne ricava l’immagine di una generazione “cinica”, senza emozioni (da cui una scrittura abbastanza piatta): “Non credevano in niente, solo alla propria sconfitta, che arrivava ogni giorno “. Lo stesso libro è una resa in base alla frase che chiude il romanzo: “o forse dovevo solo arrendermi, scrivere il libro che avete appena letto”. Nella materia non vi è alcun accenno ad una trasgressione sessuale (cosa del tutto assente) o ad un’emozione amorosa (la dedicataria del libro “Sa” è una sorta di grigia “fidanzata coniugale”).
Il capitolo “senza pagine segnate” è il 3, che costituisce la spia semantica della contraddizione di cui dicevo all’inizio: Falco racconta la sua esperienza lavorativa da studente in una fabbrichetta di spillette di cantanti, icone più o meno giovanili, il Che, Woitila ecc., insieme a due amici per mettere insieme i soldi per un viaggio, che poi non farà (è la prima sconfitta). Egli descrive una modalità lavorativa fordista, che ben conosco compreso lo stato ipnotico, che genera il lavoro ripetitivo e che diventerà esponenziale nel lavoro con le macchine elettroniche descritto nei capitolo successivi. Queste pagine sono segnate: appunto l’interesse è puramente sociologico, non letterario. Le pagine più belle sono quelle in cui Falco descrive il lavoro del padre, la sua dignità e il suo riscatto (i primi due capitoli e poi vari accenni successivi). I vari lavori dell’autore non raggiungeranno mai quel livello, a cui lui aspirava quando da bambino per carnevale voleva la divisa di autista dell’ATM invece del costume di Zorro. Forse le pagine migliori del romanzo sono le due, in cui ironicamente Falco si guarda nello specchio del “cesso aziendale” in “quel fetido edificio della periferia sud di Milano, Italia, Occidente declinante” e conclude: “forse ero diventato davvero uno scrittore”.
Continua a lavorare per una ditta in subappalto di una multinazionale telefonica, ma ha già pubblicato un libro per Einaudi e i suoi colleghi lo prendono per il culo anche per questo. Dunque una sconfitta senza redenzione. Falco in questo suo pessimismo ha con tutta probabilità ragione: che redenzione può dare un lavoro alienato? Ma lo racconta con una presa diretta piatta e grigia (come è il suo mondo in cui l’unica adrenalina è l’azzardo on line, in cui è privo di senso anche essere finalista del Campiello al soldo degli industriali veneti). Non vi è nella sua scrittura neppure un guizzo ironico e di materia linguistica ce ne sarebbe tanta (a cominciare dall’inglese dei linguaggi elettronici). Siamo mille miglia sotto gli autori a cui secondo la quarta di copertina del libro si ricollega, quelli del dibattito degli anni Sessanta su “letteratura e industria” (Volponi, Ottieri, Bianciardi), anche loro tragicamente sconfitti a costo della malattia e della vita. Cito ancora “Falco scrive un magnifico romanzo sul lavoro, che da narrazione epica diventa cronaca del fallimento”. Appunto in questa sconfitta non vi è nulla di specifico, neppure la forma.