FOLLONICA – “In un momento storico in bilico, dove si susseguono migliaia di discussioni e informazioni sul mondo della scuola, sul valore della didattica in presenza, su quanto ha scatenato la didattica a distanza, sullo stato emotivo dei giovani, sui banchi a rotelle, si rischia però di perdere di vista il vero obiettivo da perseguire: quale modello educativo vogliamo raggiungere? E come possiamo fare per arrivarci? Quali alleanze è necessario stringere perché la scuola sia considerata il primo obiettivo per una politica riformista?”, scrive, in una nota, il Pd di Follonica.
“Il Partito democratico di Follonica crede che sia giunto il momento di rimettere la scuola al centro della discussione – va avanti la nota -: da troppo tempo, infatti, mettiamo i temi della scuola su un piatto sbagliato, aggirando le questioni reali che dovrebbero interessare la riforma di un intero sistema.
Ci accontentiamo di una politica nazionale generica che non promuove cambiamenti radicali, che non cerca di stimolare un concreto dibattito su cosa sia davvero necessario e soprattutto che non investe concretamente nella scuola. Sì perché nella scuola servono anche investimenti sia strutturali che umani. Investimenti per contribuire ad accrescere le competenze sia degli insegnati che dei ragazzi, investimenti per aggiornare spazi e strumenti, ormai tristemente allocati nelle strutture del dopoguerra o se va bene, degli anni ’70; investimenti sulla ricerca dei dati relativi agli abbandoni scolastici, alle motivazioni che li hanno generati e quindi sulla reale analisi del contesto in cui questi dati si generano; investimenti sulle partnership davvero utili per la crescita e lo sviluppo.
Come fare? Prima di tutto traducendo in azioni co-progettate insieme agli attori coinvolti, quelli che abbiamo individuato come obiettivi: sviluppo di una didattica innovativa che formi docenti e ragazzi sull’uso consapevole del digitale dall’uso alla realizzazione; ampliare le nuove competenze sulla didattica out-door e quindi ristabilire un consapevole contatto con la natura e con l’ambiente circostante; puntare su una nuova strategia di orientamento, partendo dall’analisi del nostro contesto, grazie ad una indagine che l’Amministrazione comunale ha commissionato a Irpet saremo in grado di conoscere i punti di forza e di debolezza del nostro sistema formativo, imprenditoriale e sociale. Tutto questo ci consentirà di sviluppare strategie per il futuro orientate a dare concrete opportunità alle prossime generazioni.
Un Paese prospera se mette i membri delle nuove generazioni nella condizione di essere ben preparati, efficacemente inseriti nel mondo del lavoro, adeguatamente valorizzati nel sistema produttivo.
L’aspetto che, più di ogni altro, caratterizza maggiormente l’Italia in questo primo tratto di secolo è proprio lo spreco delle nuove generazioni, che ha raggiunto livelli non solo preoccupanti ma imbarazzanti nello scenario europeo. Non solo tale valore risulta il peggiore di tutti nelle età giovanili (15-24 anni), ma rimane tra i più elevati anche nella fascia giovane-adulta. Impressionanti sono, a questo proposito, i dati presentati alla terza edizione del convegno Neeting, organizzato a Milano da Fondazione Cariplo e Istituto Toniolo. Se si prende la generazione di chi aveva 20-24 anni ad inizio crisi, ovvero nel 2007, e la si segue a cinque anni di distanza (nel 2012, attorno al momento acuto della recessione) e poi a dieci anni (nel 2017, a ripresa iniziata), si nota come il rischio di intrappolamento nella condizione di Neet sia cresciuto, salendo dal 21,3%, al 28,8%, fino al 29,1%. Ovvero, tale generazione è invecchiata peggiorando la propria condizione e arrivando a superare i 30 anni con un carico di fragilità record in Europa. Dopo aver creato un debito pubblico tra i più elevati al mondo, dopo aver creato squilibri demografici tra i peggiori al mondo (tanti anziani e sempre meno giovani), ora ci troviamo ad essere quelli che più trasformano le nuove generazioni da potenziali risorse attive a costo sociale.
Crescita economica e sviluppo sociale devono tornare a marciare insieme. Per navigare in mare aperto non possiamo più tollerare chi distrugge valore: sperperando denaro pubblico, distruggendo l’ambiente, sfruttando il lavoro, non pagando le tasse. Attorno a politiche nuove abbiamo al contrario bisogno di alleare tutti coloro che contribuiscono alla creazione del ben-essere e ben-vivere comune (Alessandro Rosina – Il Paese che dimentica i giovani).
Ecco il significato di Patto educativo di Comunità: un accordo corale, condiviso in cui tutti dovranno essere responsabili del risultato, un accordo per ricostruire concretamente i rapporti tra cittadino-stato e lavoro-impresa. È naturale che una simile alleanza debba partire dal mondo della scuola coinvolgendola nella sua intera filiera e per la nostra città significa partire dai nidi per arrivare all’istruzione degli adulti, costruendo relazioni proficue col mondo civico (imprese, associazioni, terzo settore) nell’intento di costruire un sistema che passi dalla irresponsabilità diffusa alla partecipazione costruttiva.
Se in questi ultimi mesi abbiamo visto il timido riaffacciarsi delle nuove generazioni nelle azioni collettive vuol dire che il cambiamento è in atto ed è nostro dovere ascoltare e insieme percorrere la strada di co-costruzione del futuro. Abbiamo gli spazi (l’ex Ilva è un’opportunità tutta da mettere in gioco), abbiamo le risorse (non tante ma sufficienti per dare il via ad una progettualità nuova che si faccia trovare pronta per le risorse che arriveranno), abbiamo le persone (costituite da tutte le realtà coinvolte in questi anni e che con passione e entusiasmo hanno messo in campo tutte le loro energie). Adesso serve il sistema.
La strada intrapresa dall’assessorato alle politiche culturali, educative e giovanili, guidato da Barbara Catalani, è dunque quella giusta, mirata a ridisegnare i rapporti con tutti i soggetti che danno vita alla comunità educante per poter costruire con essi un progetto condiviso. Crediamo fermamente nella progettazione condivisa e negli strumenti che coinvolgono direttamente i cittadini nelle scelte che riguardano il futuro della città. Il tema dell’educazione e della formazione non può che essere il punto di partenza su cui costruire un sistema virtuoso e bene ha fatto l’Amministrazione a volere fortemente la firma di questo patto.
Il valore va prima di tutto creato e poi redistribuito, in una logica dinamica e virtuosa che attribuisca alla redistribuzione una funzione di investimento mirato sia alla riduzione delle diseguaglianze che alla produzione di nuovo valore e maggior benessere. In un paese che invecchia il rapporto tra tradizione e innovazione va ristabilito investendo nei giovani e nelle loro potenzialità, senza relegarli in panchina con politiche paternalistiche e assistenzialistiche. Solo ciò che migliora oggi la capacità di essere e fare delle nuove generazioni porta ad un futuro comune migliore.
Non si esce dalla crisi semplicemente immaginando che l’economia sia una macchina da rendere efficiente. La sfida che abbiamo davanti è piuttosto quella di realizzare un modello di crescita sostenibile capace di farci fare un passo in avanti sul piano culturale e spirituale. E di raccordare meglio mezzi e fini, efficienza e inclusione, innovazione e umanizzazione, individuo e collettività realizzando una crescita di qualità, attributo che non è dei sistemi ma delle persone e delle comunità.
Per questo non ci sarà nessuna nuova stagione senza mettere al centro la formazione, la scuola, il lavoro. Dove anche il welfare sia visto come investimento sociale, attivo e abilitante (Rosina)”, concludono i dem.