GROSSETO – A settembre in Italia si vendemmia la cultura, oltre all’uva. Perché è il mese dei festival, durante il quale le piazze di molte città, grandi e piccole, brulicano di gente e di incontri, di libri e di parole, di arti. È il mese in cui il Belpaese sembra un posto normale. Anzi il posto ideale dove vivere.
Ce n’è per tutti i gusti. Da Festivaletteratura di Mantova a Pordenonelegge, da Festival Filosofia di Modena a Festival della Comunicazione a Camogli, da Torino Spiritualità a Ebraica che si tiene a Roma. Passando per Festival dell’Economia a Trento, per Con-vivere a Carrara, Scarabocchi a Novara, Mens-A festival della cultura diffusa in Emilia Romagna, Festival della mente di Sarzana, Dialoghi di Trani, Festival dell’Eros e della Bellezza di Verona, Festival della LetterAltura di Verbania, Babel Festival di Traduzioni a Bellinzona (Ch) e Lector in Fabula di Conversano (Ba).
L’elenco è ripreso dal numero d’inizio settembre di «Robinson», il settimanale di approfondimento culturale allegato ogni sabato a «Repubblica». Dove troneggia un lungo servizio sull’Italia dei festival culturali, con l’evidente obiettivo di celebrare una formula di successo oramai indiscutibile. Che coniuga cultura e intrattenimento, bellezza ed economia….. Praticamente ovunque, fuorché a Grosseto. La «piccola città» (direbbe Francesco Guccini), che ogni anno diventa sempre più piccola.
Quella di avere nel capoluogo della Maremma un festival culturale di livello è una fissa che ricorre sin dall’inizio del percorso del #tiromancino. Questo sarà il quarto o il quinto articolo in quattro anni che la rubrica esiste. Perdonerà il lettore.
Tornare sull’argomento non è casuale. Questo fine settimana, infatti, è stata inaugurata l’edizione 2020 de «La Città Visibile», la manifestazione culturale che – a dispetto de’ santi – da qualche anno cerca di promuovere le diverse declinazioni dell’arte pubblica. Offrendo una cornice ideale e organizzativa a chiunque voglia cimentarsi coi temi scelti di volta in volta: quest’anno dedicata a “fuori di sé”. Tema – ha spiegato il direttore del Polo culturale Le Clarisse, Mauro Papa – dedicato alle auto-rappresentazioni, come stimolo al racconto di sé: auto-rappresentazioni o autoritratti, non solo fotografici o pittorici ma anche narrativi, poetici, performativi, di proposta oggettuale. Autoritratti liberi da convenzioni e stereotipi, in cui includere tutte le immagini e i testi necessari alla definizione del proprio mondo, della propria memoria e delle proprie aspettative».
Come nelle passate edizioni, anche questa – nonostante i vincoli imposti dal Covid-19 – è stata un successo. E questo dovrebbe far riflettere, sia perché La Città Visibile è una manifestazione culturale non ancora assurta al rango di festival. Sia perché il suo successo è figlio quasi esclusivamente della passione e dell’impegno artigianale di un manipolo eroico di operatori culturali, con un budget da festa di paese. L’obiettivo allora è farne prima possibile un vero e proprio festival, che magari tra dieci anni sarà recensito su «Robinson».
Ma la cultura, questo bisognerebbe capire, non è solo “merce” privilegiata in quanto tale – almeno per chi ha una certa kultura – ma anche un’occasione di sviluppo economico e di consumi qualificati. A Livorno, ad esempio, città assimilabile a Grosseto per declino economico e crisi identitaria, sembrano averlo capito bene. Complice la nuova amministrazione comunale.
Dall’otto al tredici settembre, infatti, si è tenuta la prima edizione del «Festival Mascagnano», col pretesto della celebrazione dei 130 anni dalla prima rappresentazione della Cavalleria Rusticana. Sei giorni dedicati a Pietro Mascagni nello scenario del lungomare e della terrazza Mascagni, nel corso dei quali è stato anche lanciato il progetto «Immersiva». Festival che si è avvalso della tecnica del video-mapping, con suggestive proiezioni associate a musica e trame sonore sulla facciata dello storico Grand Hotel Palazzo, per rendere l’opera più accessibile al grande pubblico in chiave di «opera totale e multisensoriale». Cosa che dev’essere riuscita, considerati i numeri: circa 50 mila presenze durante le sei serate, con un picco di 20 mila in quella di sabato.
Immersiva, in questo contesto, è una start up che ha l’obiettivo di aprire a Livorno il primo “Centro Espositivo Multisensoriale” al mondo: uno spazio in grado di combinare i cinque sensi attraverso tecnologie innovative per la diffusione di arte, scienza, cultura e spettacolo. Il centro sarà realizzato all’interno di palazzi storici, di proprietà della Fondazione Livorno, nel seicentesco quartiere della Venezia Nuova, cuore del caratteristico sistema dei Fossi Medicei. Apertura prevista nel 2022.
Tanto per tornare all’ossessione del #tiromancino; perché a Grosseto non nasce un festival ispirato dall’opera di Luciano Bianciari? Perché a Livorno sì, e a Grosseto no? Fra 27 mesi ricorrerà il centenario della nascita dell’eclettico scrittore grossetano, icona del pensiero anticonformista e controcorrente. Potrebbe essere l’occasione buona. Quella da non mancare per recuperare il tempo perso. E che non c’è più tempo per perdere ancora.
«Col tempo e con la paglia, matura la sorba e la canaglia», recita l’adagio. Speriamo le cose comincino a muoversi. Prima che sia troppo tardi, cancelliamo l’onta di essere l’unico capoluogo di provincia della Toscana che non ha un festival culturale che guarda oltre i propri angusti confini. Daje!!