GROSSETO – Paesi e borghi delle aree marginali collinari e montane della provincia di Grosseto, potrebbero prendersi la rivincita su costa e comune capoluogo. Mettendosi alle spalle quarant’anni di regressione demografica e declino economico.
Se questo succederà davvero, avverrà nella terza decade del XXI secolo. I segnali sembrano esserci tutti, ma come sulla Settimana enigmistica vanno «uniti i puntini» per far emergere il processo in corso. Paradossalmente attivato dalla pandemia di Covid-19, che ha oggettivato il precetto per cui «in ogni crisi di sistema si cela un’opportunità». I puntini da unire sono tanti: la riscoperta del distanziamento sociale al di là del virus e lo svuotamento dei grandi centri urbani a seguito della pandemia. Il boom dello smart working. Il crollo dei valori immobiliari nelle città. L’arrivo in periferia della banda larga. L’avvento prossimo venturo del 5G e della gestione in remoto dei processi produttivi. Politiche regionali di settore per le aree periferiche. Miglioramento (lento) degli assi di penetrazione nell’interno.
Insomma una serie di novità che già erano in fieri e altre che sono deflagrate improvvise. Per assurdo, apparentemente, grazie all’innesco dell’imprevisto Coronavirus. Fra l’altro basta guardare a come la Garfagnana (Lucca) ha per certi versi anticipato la recente tendenza: nei due borghi di Fabbriche di Vallico e Vergemoli, nel comune di Fabbriche di Vergemoli. Qualche anno fa in quelle lande, piagate da spopolamento e perdita di status economico, si sono inventati la vendita a “un euro” delle case abbandonate e diroccate. Hanno così ottenuto visibilità sul mercato internazionale vendendo le case a un euro, ma anche molte altre che non avevano più mercato. L’anno prossimo ci saranno ristrutturazioni per oltre 40 milioni di euro, ad opera di acquirenti arrivati da ogni angolo d’Europa e del mondo.
In quel caso è stata un’operazione intelligente e proficua di marketing turistico, per attirare nuovi vacanzieri disposti ad investire sulla montagna garfagnina. Oggi l’obiettivo è diverso e molto più ambizioso: portare nelle zone periferiche della provincia nuovi residenti stabili. Famiglie giovani, lavoratori qualificati. Attirandoli con la qualità della vita, quella ambientale e con la possibilità di lavorare in remoto grazie a reti ad alta velocità di connessione (smart working e affini).
Ad enunciare il «vaste programme» nei giorni scorsi il trentenne sindaco di Santa fiora Federico Balocchi, capofila di una coorte di giovani sindaci di piccoli borghi delle Colline metallifere, di quelle del Fiora e dell’Amiata: da Verruzzi (Montieri) e Termine (Monterotondo), fino a Gentili (Pitigliano) e Sani (Cinigiano). E di qualcuno un po’ più stagionato nei comuni di Gavorrano, Massa Marittima, Roccastrada, Sorano, Seggiano, Castell’Azzara, Roccalbegna, Civitella Paganico, Campagnatico, Magliano, Manciano, Arcidosso e Castel del Piano. Tutti speranzosi che sia la volta buona per uscire dalle secche di un lunghissimo periodo di emarginazione demografica ed economica.
Il Covid-19 sta infatti stravolgendo molte delle certezze sull’organizzazione sociale e del lavoro. Nella vecchia Europa come oltre Atlantico, nella parte di mondo a noi più affine. Dove le grandi città, inquinate, caotiche, dispersive e costose, cominciano a perdere residenti. Negli Usa, ad esempio, la pandemia ha messo letteralmente in mutande la metropoli di New York. Dalla quale molti si sono allontanati per trasferirsi in città di dimensioni medie e piccole, meno costose e affollate, sfruttando appieno la possibilità di lavorare via web. Un fenomeno che sta ridisegnando le strategie delle grandi aziende e comporterà stravolgimenti urbanistici i cui esiti sono ancora nebulosi. Anche l’alta formazione, come quella universitaria o assimilabile, per dire, può essere ottenuta a distanza. Non necessariamente nei mega atenei tradizionali.
In Italia sta succedendo un po’ la stessa cosa. Perché vivere in periferia a Roma, con prezzi delle case impossibili, passare due o tre ore al giorno sui mezzi per raggiungere il posto di lavoro, e avere servizi costosi e inefficienti. Se posso fare lo stesso lavoro vivendo meglio a Manciano o Pitigliano? Per capirsi.
Certo le fabbriche non spariranno, né lo faranno i grandi snodi logistici per merci ed esseri umani. Non tutto il lavoro potrà essere “delocalizzato” in aree marginali e gestito in remoto. Ma comunque in una società ad alto tasso di terziarizzazione, sarà sempre meno decisiva la localizzazione di chi lavora.
Serviranno tuttavia nuove infrastrutture, e un nuovo modello di organizzazione dei servizi. Perché abbattere davvero il gap tra centro e periferia, rimane più facile a dirsi che a farsi.
Sotto questo profilo la Regione Toscana, da almeno tre-quattro anni a questa parte, ha svolto un ruolo positivo di regia su tre fronti concomitanti: ha finanziato l’infrastruttura in fibra ottica a banda larga – che altrimenti gli operatori di Tlc non avrebbero ritenuto redditizia – portando la connessione veloce nei comuni periferici: in questi giorni a Scansano, Santa Fiora e altri. Entro fine anno in tutta la provincia. Poi ha iniziato ad adeguare la viabilità trasversale dalla costa all’interno, e ha concluso l’adeguamento delle piazzole per l’elisoccorso. Presto, grazie al decreto governativo che blocca parossistici veti locali, arriveranno anche le reti 5G, che aprono ulteriori scenari di superamento delle barriere spazio-temporali. Infine l’incentivo agli empori multiservizi nei piccolissimi centri e alle “cooperative di comunità” per gestire attività economiche e servizi: da Castell’Azzara a San Giovanni delle Contee, da Roccalbegna a Montelaterone e Monticello Amiata.
Un fattore che spinge a trasferirsi nei paesi dell’interno, inoltre, è senza dubbio quello dei prezzi bassissimi delle abitazioni rispetto alle città. Sull’Amiata o sulle Colline Metallifere, ad esempio, è possibile farsi casa a prezzi in alcuni casi irrisori: dai 30 ai 50.000 euro. Anche con ristrutturazioni pesanti, un affare. Accessibile a un ceto medio sempre più in anossia, come ha messo in evidenza il recente rapporto Nomisma: crollo di prezzi e compravendite nelle 13 principali città italiane. Ma soprattutto altri due milioni di famiglie non in grado di tradurre in acquisto il proprio fabbisogno abitativo espresso (in tutto 10,3 milioni di famiglie pari al 39,9% del totale).
Per agevolare il “ritorno al paesello” e a una diversa e migliore qualità della vita, quindi, ci sono dunque le condizioni. Ma bisogna muovere le chiappe, perché anche altri territori stanno inseguendo gli stessi obiettivi.
Oggettivamente l’unico Ente in grado di dirigere la baracca è la Regione Toscana, perché la Provincia è allo sbando completo. Determinante sarà la destinazione di una parte delle risorse del Recovery-Fund, e lo sarebbero anche quelle del Mes. Se solo l’M5S si svegliasse dal sonno della ragione, lasciandosi alle spalle i bizantinismi metafisici sul sesso degli angeli. Il problema prioritario, infatti, è l’adeguamento delle infrastrutture viarie, perché è inutile avere la connessione veloce se da Pitigliano a Grosseto ci metti più di un’ora, e quasi tre per raggiungere Roma. Cosa che vale per i residenti, e soprattutto per le aziende. Ma subito a ruota c’è da dare soluzione innovative ai problemi dei servizi; socio-sanitari e all’infanzia, prima di tutto.
Se queste mosse andranno a dama, la provincia di Grosseto potrà sperare d’invertire il trend di arretramento socioeconomico nel quale è impaniata da dieci anni a questa parte. Rappresenterebbe un ancorotto di salvezza cui aggrapparsi forte. Altro che discussioni autoreferenziali da nullafacenti su calcio, l’inesistente invasione degli extracomunitari e apertura delle discoteche perché il Covid non esiste….
Facciamo in modo oggi di non trovarci tra qualche anno nelle condizioni di «quello che tosava il maiale: strilli tanti, lana poca». Stavolta sarebbe esiziale.