di Piero Simonetti
GAVORRANO – Il 29 agosto del 1862 è una data importante della nostra storia nazionale, non sempre correttamente ricordata. Fu il giorno dello scontro tra Garibaldi e l’esercito regolare del Regno d’Italia, per impedire al Generale di proseguire la sua marcia su Roma con il proposito dichiarato di scacciarne le forze militari francesi che proteggevano e garantivano il “potere temporale” del papa Pio IX. Roma e Venezia erano ancora terre da unire al Regno e la questione rappresentava un tema scottante per la politica interna dell’Italia nata dall’impresa dei Mille.
Garibaldi partì dall’isola di Caprera diretto in Sicilia il 27 giugno 1862. Ripercorrendo le gloriose località di due anni prima, Alcamo, Calatafimi, Corleone e Marsala incontrò l’entusiasmo della gente e radunò intorno a sé circa tremila volontari che si unirono al grido “O Roma, o morte”. Il 20 agosto Garibaldi ed i suoi erano a Catania. Preso possesso dei piroscafi Abbattucci e Dispaccio, s’imbarcarono dirigendosi verso la costa calabra. Lo sbarco avvenne alle quattro del mattino del 25 agosto nei pressi di Milito, molto vicino a dove due anni prima approdò con i Mille diretto a Napoli.
Mentre la spedizione percorreva la via verso Reggio Calabria, avvenne il primo scontro a fuoco con i militari regolari usciti da Reggio, oltre ad un bombardamento dal mare da parte di una nave militare italiana. Garibaldi ed i suoi deviarono verso l’interno e salirono sulle montagne dell’Aspromonte, poiché non volevano scontrarsi con i soldati regi. La sera del 28 agosto, dopo tre giorni di marcia sulle montagne, Garibaldi fece fermare i suoi uomini. La stanchezza, l’amarezza di trovarsi contro le forze militari (3.500 soldati) di quell’Italia che avevano loro stessi contribuito a costruire due anni prima, oltre alla scarsità di adeguate scorte alimentari, avevano causato quasi il dimezzamento del numero dei volontari.
A mezzogiorno del 29 agosto avvenne la carica dei Bersaglieri comandati da Pallavicini. Garibaldi, in piedi e ben visibile davanti ai suoi, urlò di non replicare agli spari: “No, fermi, sono nostri fratelli”. In quel momento due colpi, sparati dai soldati regi, lo ferirono. Avvenne quindi la resa e l’arresto di Garibaldi, il quale – con le ferite ancora in corso – venne trasportato il 2 settembre in terra ligure, all’ospedale del Forte di Varignano presso Porto Venere. La ferita peggiore fu quella al piede destro e si attivarono vari gruppi di medici per localizzare la posizione della pallottola. L’estrazione del proiettile venne eseguita a Pisa dal professor Zanetti quasi tre mesi dopo, il 23 novembre 1862. L’intera vicenda originò confusione politica ad alti livelli. Il Capo del Governo Urbano Rattazzi annunciò le sue dimissioni il 29 novembre, divenute poi effettive l’8 dicembre 1862.