GROSSETO – A volte quel che succede apre una porta che ti lascia intravedere quel che non pensavi. E così stabilisci un collegamento tra fatti apparentemente troppo distanti l’uno dall’altro. Come la vicenda della statua della madonnina collocata nottetempo a Grosseto, in fondo a una strada senza sbocco nel quartiere dell’Oliveto. E il manifesto sottoscritto da centocinquanta intellettuali globali per mettere in guardia dai rischi della cosiddetta «cancel culture». La propensione codina, conformista e acritica, a censurare qualsiasi opinione si discosti da quella che passa per l’ortodossia, qualunque essa sia.
Occorre un breve riepilogo dei fatti. Qualche giorno fa a Grosseto, a ridosso della pista ciclabile per il mare, alle spalle del piccolo quartiere dell’Oliveto, un fervente cattolico in missione per conto di non si sa chi, col favore delle tenebre ha installato un imbarazzante catafalco contenente una statuetta della madonna. Pare riproduzione di quella di Lourdes. Pochi giorni a seguire, un Pasquino locale ha cinto il collo della madonnina con un boa color fuxia, l’ha fotografata e con spirito dadaista ha postato l’immagine su facebook. Pochissimo tempo ed è partita la bambola, con l’aggregarsi subitaneo di due opposte fazioni: gl’indignati per vilipendio a immagine sacra, e i divertiti dal gesto d’irriverenza. Secondo il consueto paradigma social. Come da copione, poche ore ed è intervenuta la politica. In particolare il sindaco di Grosseto e i due segretari di Lega e Fdi; ovviamente schierati a difesa della cristianità dileggiata, soprattutto in campagna elettorale. Tirato per la tonaca (che indossa poco), è toccato intervenire anche al vescovo, che con sottile ironia ha liquidato la polemica in un immaginario dialogo con Maria.
Il manifesto-appello per la tolleranza delle opinioni non ortodosse e laterali rispetto al mainstream, in difesa di un discorso pubblico basato sul dibattito di idee e non sull’adesione a teorie messianiche, è stato invece promosso da 150 intellettuali di cultura anglosassone, ma di respiro mondiale, come Margaret Atwood, Salman Rushdie, Anne Applebaum, Noam Chomsky, Michael Walzer o JK Rowling, per citarne alcuni. Tutti preoccupati dalla marea montante di manifestazioni d’intolleranza e massimalismo. Originate anche da buone intenzioni, ma degenerate in atteggiamenti censori, perbenisti e violentemente aggressivi. Che finiscono inevitabilmente per attaccare le persone in quanto tali, invece di contrastarne le argomentazioni con le idee. Come bisognerebbe fare secondo logica e aderendo alla buona prassi liberal progressista.
Fra l’altro questa iniziativa nasce come antidoto per isolare fenomeni di dogmatismo proliferati sui social, e in generale sul web, proprio in ambienti della sinistra massimalista del mondo anglosassone. Dove per contrastare gli effetti deleteri del trumpismo, o il razzismo che ha portato all’assassinio di George Floyd, si è arrivati al paradosso di ghettizzare, denigrare e scomunicare chiunque sollevi un dubbio o esprima opinioni argomentate ma eterodosse rispetto alla vulgata che va per la maggiore come politicamente corretto. Manco essere originali o non allineati configuri un reato di lesa maestà. Sorte che è toccata a chi ha osato criticare da sinistra l’abbattimento indiscriminato di statue, alcune posizioni del femminismo più estremo, o comportamenti antirazzisti figli della stessa logica che volevano combattere. Insomma un manifesto per la tolleranza del metodo democratico della discussione pubblica basata su opinioni divergenti e argomentate.
Cosa c’entra la madonnina posticcia dell’Oliveto con tutto questo, però? Centra molto perché nella vicenda nostrana è scattato lo stesso identico riflesso condizionato della condanna da tribunale della santa inquisizione. Il riferimento non è tanto alle rampogne moralisteggianti e politicamente strumentali subito levatesi dal centrodestra, alla ricerca di pretesti per la campagna elettorale delle regionali. Quella è tutta roba scontata, «riveditoia» come si dice in Maremma. Oramai anche fuorimoda come dimostra il declino politico e comunicativo salviniano.
A preoccupare piuttosto, è l’atteggiamento manicheo e bigotto di tante persone comuni. Che sui social hanno subito berciato scomposte allo scandalo, alla lesa maestà nei confronti della religione, all’inciviltà del dileggio della madonna. A fare paura è il radicalismo di una religiosità fittizia, utilizzata come una clava da persone che spesso dicono e scrivono cose inenarrabili per violenza, pressappochismo e animosità; lontanissime nei fatti da tutto ciò che dicono di voler difendere. Un approccio che non conosce né ironia, tantomeno autoironia, né argomentazione. Ma che sconfina in modo autocompiaciuto nel cosiddetto “hate speech” (discorso basato sull’odio) e spesso nell’utilizzo strumentale di ogni pretesto per promuovere contenuti razzisti, omofobi, e in genere offensivi e denigratori.
In questo caso, infatti, quasi nessuno ha colto il fatto che evidentemente il boa color fuxia intorno al collo della statuetta non era un’offesa alla madonna. Ma un gesto iconoclasta di scherno nei confronti di chi ha avuto la pretesa d’insediare «motu proprio» una pacchiana teca in gesso a forma d’ogiva e con fioriere a latere, dall’aspetto vagamente fallico, contenente una statuetta della madonna. Nottetempo, lungo una pista ciclabile a margine di un parcheggio ai confini di in un quartiere cittadino chic. Imponendo con protervia la psichedelica visione a residenti e ciclisti in transito per il mare. Sicuramente per il loro bene. Ma anche no.
È chiaro che l’obiettivo della divertente e originale provocazione dell’anonimo “sciarpista” non era la madonna in quanto simbolo religioso, ma la pretesa d’introdurre nel tessuto edificato un elemento posticcio di orrida fattura. Nella convinzione – esegetica? – d’interpretare il bisogno d’una piccola comunità di avere a portata di mano un feticcio da venerare. Fra l’altro: da giorni rimbalzano in città i malumori degli abitanti nella zona per la sorpresa. Forse terrorizzati all’idea di vedere il goffo tempietto illuminato a Natale da lampadine intermittenti, e magari arredato con un bel presepe in plastica made in China? Davvero un pessimo servizio alla religiosità, in nome delle smanie di qualcuno.
Ma c’è dell’altro. Di ancora più profondo e preoccupante. C’è forse un motivo per cui la madonna, nella sua natura di simbolo religioso, non possa essere oggetto di satira in quanto tale? Se nei secoli l’ironia e la satira si sono affermati come forma democratica di critica a ogni potere e dogma, non si vede il motivo per cui non debba vigere libertà di dileggio in libero Stato? Non è questo, forse, uno dei capisaldi delle Democrazie liberali cui a parole tutti ci onoriamo di appartenere? Che ci distingue dalle teocrazie governate dagli imam, dove è annullato il confine tra stato e religione. Dagli stati autoritari come Cina e Russia, che mortificano i diritti civili e impediscono l’alternanza politica.
Attenzione. Non è che il contenuto della satira debba necessariamente piacere a tutti. Né che si debba dare un rating alla liceità della satira. O che all’estremo opposto, non si possa criticare il modo in cui si fa satira, né il suo contenuto. Si tratta però di consentire sempre e comunque il diritto di esercitarla, la satira. In quanto forma legittima di critica, fino allo sconfinamento nel paradosso. E si tratta anche di discernere tra l’obiettivo della satira, e il pretesto, o il mezzo, attraverso il quale questa viene esercitata. Ma questo è tutt’altro terreno da quello delle offese personali, dell’aggressività rancorosa, della violenza verbale.
D’altra parte, la cristianità, ma in generale ogni religione, non hanno alcun bisogno di censure per promuovere i propri valori, la propria visione della vita e delle cose ultraterrene. Mettendosi alle spalle secoli di violenza e repressione, la chiesa lo ha capito benissimo da un pezzo. Molto meglio dei troppi che se ne considerano credenti militanti, ma si comportano da ascari. Più sottomessi che consapevoli.
Ecco dove sta il legame tra la madonnina dell’Oliveto e l’appello dei 150 intellettuali d’oltreoceano a impegnarsi per contrastare l’avanzante «cancel culture». Il nesso tra modernità e diritto alla critica. L’antinomia tra libertà e dogmatismo.
Peraltro, in un mondo in cui la cantante Veronica Ciccone ha conquistato fama globale dandosi il nome di Madonna, c’è davvero qualcuno disposto a credere che un boa color fuxia al collo di una statuetta possa costituire una minaccia alla religione? Siamo seri, please.