FOLLONICA – Sembra la trama di un film drammatico il racconto di Giovanni Irace, sopravvissuto al Coronavirus, ma è una storia vera e fortunatamente a lieto fine. Nell’ultimo mese il 52enne ha vissuto l’incubo peggiore della sua vita.
A metà marzo, tra i primi casi positivi in Maremma, Giovanni viene attaccato dal virus con una violenza brutale e dopo 32 giorni di ricovero all’ospedale Covid di Grossseto, ieri è tornato finalmente a casa. L’abbiamo raggiunto al telefono e ci ha raccontato la sua esperienza. Giovanni racconta che, dal momento che avverte i primi sintomi, il 13 marzo, le sue condizioni sono precipitate velocemente.
Dalla prima linea di febbre alla terapia intensiva a Grosseto passano appena 48 ore. La notte del 15 marzo chiama il 118 perché avverte grandi difficoltà respiratoria e viene portato d’urgenza in ospedale, il tampone risulta positivo e la radiografia mostra subito una brutta polmonite.
Lo trasferiscono in terapia intensiva quasi subito dove gli dicono che sarebbe stato intubato, ma Giovanni si rifiuta: «Ho implorato di non essere sedato – ricorda -, non volevo essere addormentato e quindi mi hanno messo il casco con l’ossigeno a cui ho reagito bene. In tutti quei giorni di terapia intensiva non ho mai dormito, avevo il terrore di chiudere gli occhi. Non so come sia stato possibile, ma tutte le mie forze le ho impiegato a lottare contro il sonno e il virus. Non volevo dormire neanche un minuto per paura di non risvegliarmi». È una lotta da cui esce vincitore anche se con grande fatica.
«Ho vissuto la terapia intensiva come se fossi stato in un film – racconta -. Ero sveglio tutto il tempo e ho visto la morte, ma anche chi è ritornato alla vita. È difficile pensare che tutto questo mi sia successo, ma so per certo che ce l’ho fatta grazie ai medici, le infermiere e il personale sanitario tutto dal primo all’ultimo. Non mi hanno mai lasciato solo, le infermiere mi hanno tenuto la mano e i medici mi hanno fatto coraggio. Sono degli angeli tutti e posso dire con certezza che l’ospedale Covid di Grosseto è un’eccellenza sotto ogni punto di vista. Sono arrivato all’inizio, ma i giorni passavano e i letti si riempivano. Tutto il personale correva per salvare i pazienti, non si fermavano mai e hanno dato il massimo ogni giorno. Dovrebbero fargli un monumento perché fanno miracoli».
Il 26 marzo le condizioni di Giovanni migliorano e viene trasferito al reparto di malattie infettive dove resterà per altre tre settimane. È il giorno di pasqua quando capisce che avrebbe vinto la battaglia contro questo maledetto virus, perché per la prima volta riesce a respirare senza ossigeno aggiunto. Quando viene dimesso è una gioia immensa per tutto il reparto. Ieri Giovanni è tornato a casa a Follonica, ancora positivo e molto affaticato. A domicilio continua la sua terapia, si controlla la saturazione, la temperatura e la pressione, ma le ultime settimane hanno segnato il suo fisico; è dimagrito tanto e profonde occhiaie segnano il suo viso, entrambe le braccia sono blu dai tanti prelievi di sangue e Giovanni racconta che ha subito decine di emogasanalisi, un esame del sangue arterioso, che ricorda molto doloroso.
«Talvolta per fare un prelievo hanno dovuto bucarmi nove volte per i tanti ematomi». «Ho preso una bella legnata – dice Giovanni pensieroso -, non è stata per niente una passeggiata. Sono tornato a casa e alla vita, ma a fatica riesco a stare in piedi. Non ho più i muscoli alle gambe e ho perso 18 chili dopo i 32 giorni passati in ospedale di cui, credo, circa dieci in terapia intensiva. Con precisione non lo so perché lì dentro il tempo non ha alcuna dimensione. Questo virus lo chiamo mostro perché lo percepisci nettamente che ti attacca da dentro con una violenza spaventosa, ti annienta alla ricerca del tuo punto più debole. È l’inferno; com’essere sotto acqua e non uscirne mai. E’ stata molto dura e ho avuto paura di morire».