GROSSETO – Ecco la lettera di auguri del vescovo della Diocesi di Grosseto, Rodolfo Cetoloni, ai fedeli.
Stupore e meraviglia. E’ questo che auguro a tutti voi, cari maremmani, che vi state preparando alle feste natalizie.
In questi giorni ci scambieremo tanti auguri diversi, ma il senso ultimo che ci fa fare festa è uno: un Bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, secondo la profezia di Isaia.
E allora Natale tornerà ad essere la festa non tanto dei buoni sentimenti (che pure sono importanti nella nostra vita!), ma la festa di noi davanti al Dio bambino e di Dio con noi.
Quest’anno all’ingresso della mia casa e degli uffici della Diocesi ho desiderato proporre la riproduzione dell’affresco della Natività così come dipinto, alla fine del ‘300, da due pittori senesi – Cristoforo di Bindoccio e Meo di Pero – nella bellissima chiesa di Santa Maria delle Grazie, a Campagnatico. Vi invito, quando passate lungo il corso Carducci, a fermarvi qualche attimo davanti alla riproduzione del dipinto. Personalmente mi colpiscono gli occhi dei pastori, ma anche gli sguardi del bue e dell’asinello, quasi sconvolti nel trovarsi davanti a quel bambino. L’augurio che faccio a ciascuno è di poter avere anche noi uno sguardo stupito e meravigliato nel momento in cui ci fermiamo davanti al presepe, “segno mirabile”, come lo ha definito il Papa nella bellissima lettera che ha scritto e firmato a Greccio il 1 dicembre scorso.
Fare il presepe, infatti, impegna le nostre capacità, la nostra fantasia, la nostra abilità manuale, l’estro, il senso del bello, ma non dobbiamo mai dimenticarci che quel segno parla prima di tutto alla nostra interiorità e alla nostra fede, poca o tanta che sia, flebile come una fiammellina, incerta, zoppicante o robusta come un grande albero. Francesco d’Assisi, quando la notte di Natale del 1223 “inventò” il presepe, non lo fece con l’intenzione di impartire agli altri una lezione di fede, ma per rispondere ad un bisogno intimo e personale. Tommaso da Celano, suo primo biografo, scrive, infatti, che il desiderio di rappresentare il Bambino di Betlemme, gli sorse perché voleva “vedere con gli occhi della carne” i disagi in cui venne a trovarsi Gesù “per la mancanza delle cose necessarie a un neonato”.
Fu l’amore a provocargli il desiderio di immedesimarsi in quel Dio Bambino, così come fu sempre l’amore a fargli nascere nel cuore la preghiera di sentire un po’ delle sofferenze che Cristo patì sulla croce. A Greccio egli “vide”, sul Monte della Verna egli “sentì”, nel momento in cui da Cristo “prese l’ultimo sigillo”: le stimmate.
Senza questo sguardo d’amore anche i gesti della nostra fede rischiano di essere offuscati dall’abitudine, dalla consuetudine, dalla ripetitività, senza provocarci stupore e meraviglia. Sappiamo tutti, invece, che oggi abbiamo più che mai bisogno di entrambi, dentro i ritmi frenetici delle nostre giornate, in mezzo a molte preoccupazioni, ansie, lacerazioni, silenzi, dolori intrisi di solitudini.
Guardiamo a quel Bambino dato a noi come figlio e accorgiamoci che è per noi, così come siamo in questo momento della nostra esistenza.
Buon Natale!