GROSSETO – Declinare parte dell’economia maremmana nelle produzioni industriali ad alto contenuto tecnologico non è onanismo mentale. Lo dimostra la traversata del deserto compiuta dalla Elettromar – azienda follonichese del comparto elettromeccanico – che zitta zitta, nonostante l’indecenza dell’Aurelia a 4 corsie, a partire dagli anni 90 ha saputo ritagliarsi un ruolo di rilievo sul piano nazionale nel comparto dell’automazione industriale. Arrivando a dare lavoro a 250 addetti, 140 dei quali nella città del Golfo, con gli altri dislocati in nove unità operative a Piombino, Firenze, Massa, Pistoia, Milano, Taranto, Livorno, Viareggio e Ancona, oltre che nelle tre di Miami (Florida), Pittsburg (California) e Dansville (New York), gestite dalla controllata “Elettromar Inc.”.
D’altra parte, non si tratta dell’unica realtà dell’alta tecnologia in salsa maremmana. Un manipolo di aziende che fanno poco fumo (audience mediatica), ma molto arrosto (fatturati e occupazione di qualità). Come Tosti, Eurosider, Elmu, Opus Automazione, Crosa Group, Noxerior, Kelli, Fanelli Energia, Mar.Zinc. e Tecnoseal. Solo per citare le più note nell’elettromeccanica.
Nasce così il protocollo d’intesa vergato venerdì scorso da Elettromar, Regione Toscana e Comune di Follonica. Con nientepopodimeno che l’obiettivo di sviluppare un «centro di competenze pubblico/privato per lo sviluppo di tecnologie legate all’automazione industriale, ai controlli automatici e alla simulazione con l’obiettivo di sostenere il tessuto produttivo locale». Come ha recitato il compassato comunicato stampa infarcito delle locuzioni industrialiste di pragmatica.
Ma cosa c’è dietro la cortina fumogena dell’inossidabile enfasi da conferenza stampa? Considerato che non sarebbe certo la prima volta che si solleva un po’ di fuffa propagandistica, ed è pertanto opportuno farsi domande?
A quanto sembra questa volta solo buone notizie, perché Elettromar pare sia fra le aziende che a livello mondiale collaborano all’ambizioso progetto “Hyperloop” promosso dal visionario imprenditore sudafricano Elon Musk. Ideatore fra le altre cose della Tesla, prima automobile che doveva essere completamente elettrica e guidata autonomamente dalla tecnologia.
Elettromar, da parte sua, ha una consolidata competenza specifica nell’ambito degli apparati di automazione per treni, tram e metropolitane. Tanto da collaborare regolarmente con grandi costruttori di materiale rotabile come Hitachi, di cui a Pistoia è co-designer dei nuovi convogli ferroviari ordinati dalla Regione Toscana per il trasporto dei pendolari.
La collaborazione allo sviluppo della tecnologia per il trasporto ad alta velocità Hyperloop, sia rivolta a passeggeri che a merci, potrebbe essere da questo punto di vista un’opportunità di crescita complessiva per Elettromar e per le aziende tecnologiche del territorio. I convogli ferroviari del futuro, se si riuscirà a industrializzare l’intuizione di Musk, dovrebbero infatti viaggiare a velocità stratosferiche all’interno di tubi a bassa pressione, in cui le capsule (vagoni) saranno spinte da motori lineari a induzione e compressori d’aria. Tubi che potranno essere interrati o sopraelevati.
Insomma all’ombra della firma di un anòdino protocollo d’intesa, a Follonica potrebbe germogliare il seme di un nuovo modello di sviluppo per la Maremma. Basato per la prima volta esplicitamente sulle tecnologie industriali evolute. Col paradosso che nella terra antonomasia dell’agricoltura nell’immaginario collettivo, a guidare la riscossa dell’industria sarebbe un’azienda a vocazione “ferroviaria”, insediata in un territorio lontano anni luce dall’alta velocità.
Miracolo peraltro perfettamente coerente con la modernità delle delocalizzazioni produttive interconnesse dalle tecnologie Industria 4.0, che a breve viaggeranno sulle reti 5G. La globalizzazione, in quest’ottica, può essere un’opportunità anche per un territorio come la Maremma, marginale rispetto alle grandi concentrazioni industriali. Ma in grado di offrire qualità della vita ai lavoratori tecnologici e connessi del terzo millennio.
Cosa che a Follonica – diversamente ad esempio da quel che succede a Grosseto – sembrano aver capito già da un po’ di tempo. Come dimostra questo protocollo d’intesa, e prima ancora quello con la Scuola di alta specializzazione Sant’Anna di Pisa, oppure il progetto costruito con la pazienza di un mosaico di fare di Follonica un polo di produzione culturale.
Certo, sono tutte scommesse difficili da portare a dama. Ma dalle quali è impossibile prescindere se si vuole davvero tentare il salto di qualità, e mettersi alle spalle lo stato d’animo del declino inevitabile. Come dice l’adagio popolare: «chi vivrà vedrà».