GROSSETO – Oramai è chiaro. La Maremma è battuta da un virus infestante che sposta il focus dell’attenzione pubblica dalle cose ponderose a quelle effimere.
Senza voler offendere nessuno, per carità. Ma risalto mediatico ed energie intellettuali dilapidate sull’abbattimento o meno dei pini nelle vie Caravaggio e Mascagni a Grosseto, forse meriterebbero altri argomenti. Diciamo di più pregnante interesse per le sorti di questo territorio in affanno crescente.
Un problema che non va banalizzato. Perché se una comunità finisce per appassionarsi sistematicamente a ciò che poi è ininfluente rispetto al “valsente”, ciò che determina o meno la nostra qualità della vita, questo significa che la marginalità è un destino ineluttabile.
Ad esempio. Da diversi giorni la Cgil – che negli ultimi tre anni si è sgolata ignorata sui temi dell’economia – sta facendo un viaggio nella precarietà del mondo del lavoro, denunciando abusi e proponendo soluzioni. Fino a concludere “in bellezza”, con un’analisi raccapricciante sulla composizione dello stock degli occupati in provincia di Grosseto. Dei 93.000 occupati censiti dai centri per l’impiego nel corso del 2018 (lavoro dipendente), ben 57.000 erano tali in conseguenza di nuovi avviamenti al lavoro.
Che vuol dire? Intanto che i posti di lavoro stabili, cioè provenienti dal passato, nella nostra realtà erano appena 35.000 su una popolazione residente di 223.000 persone. Diciamo non una cifra proprio esaltante.
Il problema vero, però, sta nella composizione dei 57.000 avviamenti al lavoro. Applicando a questa quota di neo occupati le percentuali statistiche nazionali, vediamo che nella migliore delle ipotesi possibili di questi 5.700 sono assunti a tempo indeterminato (10%). Togliamo poi i 4.500 contratti di apprendistato professionalizzante, che in molti casi non si traducono come dovrebbero in un’assunzione vera. Applichiamo ai nuovi ingressi le percentuali nazionali di chi è contabilizzato per aver lavorato un solo giorno (5%), 2.850 persone con contratti a chiamata, collaborazioni occasionali, voucher e quant’altro. Consideriamo gli 11.400 che formalmente hanno lavorato meno di in mese (20%). Rimangono più o meno 32.000 contratti a tempo determinato, gran parte dei quali stagionali, con molte persone titolari di più rapporti di lavoro di breve o brevissimo periodo.
Insomma il ritratto di una provincia povera, con un mercato del lavoro asfittico. Nel segno dalla preponderante e montante incidenza dei “lavoretti”. Caratterizzati da basse retribuzioni, pagamenti in nero e quasi nulle tutele contrattuali. Un contesto nel quale vanno collocati anche 66.611 pensionati (2018) e circa 20.000 lavoratori autonomi, che dal 2008 ad oggi sono fra coloro che più hanno sofferto la crisi. Per non parlare dell’inverno demografico che da anni raggela la Maremma. Cosa che giustamente ha spinto la Cgil a suonare la sirena d’allarme per il rischio della tenuta del sistema dei servizi sanitari e scolastici.
Poi certo, i pini di via Mascagni a molti non fanno dormire sonni tranquilli. Mentre a molti altri concilieranno sonni d’oro. Vedendosi garantito un confortevole diversivo, a costo zero. Perché l’occhio di bue puntato su quelle eroiche 52 piante, non illumina inadempienze e problemi di ben più gravosa rilevanza.
Quel che la Cgil dice da molto tempo, magari, potrebbe costituire lo spunto per un dibattito un po’ più necessario e utile a questo pezzo morente di Toscana dl sud. Tipo una bella rivisitazione dei troppi stereotipi che contraddistinguono il nostro modello di sviluppo.
Ad esempio. Siamo sicuri che il turismo sia il nostro petrolio? Perché bisogna sempre, per principio, andare al d là dei luoghi comuni, se si ha l’ambizione sincera di risolvere i problemi.
Secondo l’Istat, a questo proposito, in Italia la produttività media delle attività turistiche – valore aggiunto prodotto/numero degli addetti a tempo indeterminato [Ula] – è di 23.000 euro a fronte dei 59.500 del settore industriale (dato 2016). E il turismo è uno dei comparti meno produttivi nel settore dei servizi, dove la produttività media è di poco superiore ai 40.000 euro. D’altra parte, il Sole24Ore con il suo report di “jobpricing” ha messo in evidenza come turismo e ospitalità organizzata (hotel e strutture extra-alberghiere) siano fra i cinque settori in cui i lavoratori sono peggio retribuiti: il 10 e il 20 per cento in meno rispetto al salario medio.
Questi numeri, ed altri, andrebbero tenuti di conto quando si ambisce a disegnare strategie per uscire da un tunnel che per la provincia di Grosseto sembra allungarsi inesorabilmente.
Non bisogna sperare nelle intuizioni nittalope per navigare nel tunnel alla ricerca dell’uscita. Ma studiare, discutere e valutare laicamente le opzioni da scegliere.
Questo non significa affatto relegare il turismo nell’angolo, sarebbe ridicolo. Ma avere la consapevolezza, per dirne una, che il valore aggiunto medio per addetto dell’industria chimica è di 107.070 euro (il quintuplo del turismo), potrebbe contribuire a far guardare all’area produttiva del Casone di Scarlino con occhi diversi……
Ecco, allora, magari tra un pino e l’altro, se qualcuno avesse la compiacenza di prendere e dare spazio a discussioni più profonde, ma non meno entusiasmanti, sarebbero in diversi a sentirsi più sollevati. E magari a trovare qualche episodico motivo d’ottimismo. Insomma, prendendo a prestito il detto popolare: «a ognuno il suo mestiere, e il lupo alle pecore».