GROSSETO – “È oramai codice rosso: dopo le molte sollecitazioni da parte del mondo agricolo la cerealicoltura oggi è allo stremo e continuando di questo passo anche a Grosseto si smetterà di seminare”. Cosi il direttore di Cia Grosseto Enrico Rabazzi interviene pubblicamente per denunciare la preoccupante situazione che le aziende agricole devono quotidianamente affrontare.
Negli ultimi anni la cerealicoltura grossetana ha perso oltre il 30% della superficie coltivata a grano duro con la conseguenza che oggi, non essendoci altre colture remunerative per le aziende, migliaia di ettari sono abbandonati e incolti. Si tratta di un dato in continuo aggiornamento in perdita per Grosseto, che sta lasciando tante vittime lungo il cammino e rischia di rappresentare il definitivo abbandono di questo settore. La cerealicoltura è a serio rischio, come sono in ginocchio le cooperative di servizio agricole per i prezzi irrisori e la carenza di semina. Se non ci sarà un’inversione di tendenza a subirne le conseguenze saranno non solo aziende e l’indotto, ma anche l’ambiente perché terreni incolti e abbandonati sono un potenziale pericolo idrogeologico. Da non trascurare la questione della sicurezza alimentare: senza un giusto reddito non è possibile chiedere agli imprenditori di continuare a lavorare e si dovrà dunque importare grano da altri paesi.
“Non è mai stato nostro compito commentare le vicende politiche e non intendiamo farlo ora, cosa invece compete a noi è tutelare non solo chi vive di agricoltura ma l’intero comparto agricolo – continua Rabazzi – Non lo facciamo per un mero tornaconto reddituale lo facciamo perché consapevoli che se gli imprenditori agricoli possono sopravvivere, i vantaggi si riverseranno sull’ economia, l’ambiente e la salute dei cittadini. Oggi migliaia di aziende sono allo stremo e ci auguriamo che nell’agenda ministeriale del nuovo Governo possano trovare spazio anche le molte risposte di cui il settore primario ha bisogno, primo tra tutti quello cerealicolo che, dopo le tante promesse sembra essere stato relegato a settore di serie B. A causa delle calamità di ogni tipo, alla concorrenza sleale, ai costi sempre più alti della burocrazia e all’aumento dei prezzi di produzione, la cerealicoltura ha vissuto una delle peggiori stagioni degli ultimi anni e le prospettive non sembrano, allo stato attuale, promettere nulla di buono”.
Secondo i dati forniti dalla Borsa Merci, nel corso di quest’anno c’è stato un lieve aumento dei prezzi per i produttori di grano duro, Ismea, infatti, sottolinea che i prezzi hanno cominciato a rivalutarsi su base congiunturale in conseguenza di prospettive poco soddisfacenti per i raccolti nazionali e mondiali per l’anno in corso; attualmente il grano duro viene pagato circa 20 euro a quintale. Un lieve recupero rispetto ai 15/16 euro del 2018 ma largamente inferiore ai 35euro che sono la giusta remunerazione perché per coltivare un ettaro di terreno servono circa 900 euro.
“La questione è diventata strutturale – sottolinea il direttore- la conseguenza è che sempre più aziende smettono di seminare lasciando i campi incolti. Altra questione che colpisce il nostro grano è quella delle “proteine raccomandate”: la grande industria predilige grano con una percentuale di proteine superiore al 13%, caratteristica che non sempre è garantita dalla produzione nazionale e questo perché la scelta è di non utilizzare diserbanti in preraccolta che, vale ricordarlo, in Italia sono vietati ma che sono ammessi nell’UE e in altri paesi che ci forniscono il grano. Come Confederazione non abbiamo mai auspicato dazi o blocchi, ciò che pretendiamo però è che vi siano controlli prima che il grano sbarchi in Italia perché la dicitura “miscela di grani” nelle etichette, a dir nostro, non fa altro che penalizzare il Made in Italy. Serve infine riequilibrare gli ingiustificati aumenti che riscontriamo lungo la filiera e che fanno guadagnare lauti compensi senza che all’agricoltore venga riconosciuto alcun aumento”
In merito alla questione interviene anche il presidente Cia Grosseto Claudio Capecchi- “ Ci aspettiamo – sostiene – che la promessa dei fondi sui contratti di filiera venga mantenuta e, come si è fatto per altri comparti, chiediamo la costituzione di un tavolo regionale permanente, dove possano confrontarsi tutti i protagonisti del settore per affrontare le dinamiche della produzione a livello mondiale, quelle di mercato e la tracciabilità della filiera attraverso il passaggio e la condivisione delle informazioni. Riteniamo infine sia giunto anche il momento di discutere della possibilità di un accordo con la ricerca per fornire alle filiere varietà più consone ai nostri territori, dal basso contenuto di glutine e più resilienti ai cambiamenti climatici”