GROSSETO – «Ma voi avete un problema ad amare il posto dove vivete?». È quel che si è sentito dire un noto operatore dell’incoming turistico maremmano – uno con più di quarant’anni d’esperienza – da una giovane blogger tedesca responsabile di una pagina che recensisce destinazioni turistiche sul web. Una che ha più di tre milioni di follower.
L’aveva invitata in Maremma, scarrozzandola da Capalbio a Follonica, per farle conoscere il territorio sperando in una narrazione giornalistica che ne promovesse i punti di forza. Oltre alla propria attività di incoming. Alla fine del giro, la ragazza gli ha letteralmente detto: «guarda voglio essere onesta fino in fondo con te. Io non posso fare niente e non recensirò questa zona, che è bella ma c’è troppa trascuratezza. Ma voi avete un problema ad amare il posto dove vivete? Mi dispiace, ma il mio lavoro è dare consigli a chi viaggia per turismo, e ho una responsabilità nei loro confronti. Che non posso tradire. Se di una cosa non sono convinta, non la faccio».
La chiacchierata al telefono, nata da un altro pretesto, si conclude con lui che mi dice: «lì per lì sono rimasto di stucco. Ma poi ho apprezzato la schiettezza. Le ho pagato il biglietto d’aereo e il soggiorno, come eravamo d’accordo, e ci siamo salutati cordialmente».
La lezione da trarre nel clou della stagione turistica, è che quando riteniamo qualcosa fin troppo ovvia, quindi ininfluente, quella stessa cosa è invece spesso determinante. Bisognerebbe avere l’umiltà di riflettere, non dando niente per scontato. Dovrebbe essere un metodo di lavoro, un approccio culturale. Applicato sempre, in qualunque contesto.
Perché per rendere attrattiva una destinazione turistica – nella fattispecie la Maremma – sono senza dubbio importanti le infrastrutture, il rapporto qualità prezzo dei servizi turistici, le politiche di promozione, i servizi pubblici e le reti tra operatori. Ma sullo stesso piano sta l’identità territoriale, il genius loci, che il turista percepisce. Tanto più che in un mercato turistico potenzialmente dilatato a centinaia di destinazioni facilmente accessibili, a fare la differenza può essere come viene vissuta la relazione con il contesto in cui ci si muove. Se la percezione è di trovarsi in un ambiente ostile perché trasandato, dove prevale la trascuratezza, la mancanza di attenzione ai dettagli, l’indifferenza a bisogni primari come la cura dell’estetica, l’equilibrio delle relazioni umane, l’amore per i luoghi in cui si vive, la gentilezza e la disponibilità, allora è fatale che si cerchino altri approdi.
Sarà pure banale ma l’infrastruttura immateriale della “passione” per i luoghi in cui si opera è un fattore di competitività tanto difficile da misurare, quanto determinante nei fatti. In fondo è questo il senso della domanda retorica posta dalla blogger al suo interlocutore: «ma voi avete un problema ad amare il posto dove vivete?».
Tutte chiacchiere, si dirà. Allora proviamo a declinare il concetto in qualche osservazione empirica che circoscriva il concetto di trascuratezza. Tipo le staccionate sgangherate e divelte che delimitano parchi giochi o aree attrezzate. I cumuli d’immondizia ornamentale. La mancanza di cestini per i rifiuti, di portacenere e di sedute confortevoli negli spazi pubblici e in quelli privati. Gli accessi alle spiagge abbandonati a sé stessi. La sentieristica per gli escursionisti priva di manutenzione. Gli arenili liberi colonizzati da ombrelloni e masserizie. Le ciclabili monche e mal segnalate.
Oppure la carenza di pannelli informativi, di indicazioni per i turisti sugli orari di apertura. Il centro storico di Grosseto con tutti i pubblici esercizi chiusi contemporaneamente nei festivi. I montascale che non funzionano, le passerelle disconnesse e insabbiate, i sentieri nei parchi pubblici con la ghiaia che impediscono od ostacolano la mobilità delle persone con disabilità o difficoltà a deambulare.
Le aiole e in generale il verde pubblico balcanizzati, i parcheggi con l’asfalto sgangherato e senza segnaletica orizzontale, le pensiline alle fermate degli autobus degli anni 90 o la loro assenza totale.
Che dire poi dei siti archeologici aperti dal lunedì al venerdì, quando va bene? Della “musica” sparata a volume insostenibile dalle casse di bar e gelaterie? Dei mercatini che paiono i suk distopici di Blade runner, delle debosciate sagre dello street food che appestano l’aria con i miasmi di fritto.
Oppure della parodia del rude maremmano interpretata da ristoratori, esercenti e gestori di stabilimenti balneari che ti schifano se gli chiedi di confezionarti la doggy o la family bag, se ti presenti coi bambini o comunque chiedi qualunque cosa devii dallo standard (basso) dell’accoglienza. Cliché dietro il quale non è raro intuire disprezzo, tracotanza e superficialità.
Ma si potrebbe ragionare anche di arredi pubblici e privati così sciatti da intristire un euforico in preda alle anfetamine. Delle luminarie da luna park che mortificano i centri storici. Delle insegne al neon anni 80.
Il cahier de doléances avrebbe molti altri capitoli. Poi ci sarebbero da mettere nel mirino anche i comportamenti incivili e scostanti dei turisti, troppo spesso pretenziosi e volgari. Ma il problema di fondo da cui prendere le mosse è quello che complessivamente come territorio riusciamo a trasmettere a chi arriva qui. E sentire giudizi poco lusinghieri è tutt’altro che un’eccezione.
Concludendo, bisogna evitare un altro errore. Che è quello di scaricare le responsabilità solo sugli altri, e in modo particolare sul “pubblico”. Perché operatori turistici professionali e residenti, ognuno per la propria quota, hanno le loro responsabilità.
Basta fare il confronto con territori turistici come il Trentino. O quello fra Roma e Verona, per esempio. Le differenze sono palmari. E non è per un destino cinico e baro.