Evidentemente l’esperienza non insegna. Le pinete minacciate da mancata manutenzione, fuoco, ingressione del cuneo salino e parassiti vari, nell’arco di poco tempo rischiano di far collassare il nostro sistema turistico. Ma in giro la preoccupazione non si avverte.
Potrebbe sembrare allarmismo, ma non lo è per niente. Negli ultimi sette/otto anni il mix di calamità ambientali che ha investito la fascia costiera della Maremma grossetana – dagli incendi alle alluvioni, fino alle infestazioni di parassiti xilofagi che hanno aggredito pini, olivi, palme, cipressi – stanno provocando danni economici difficilmente quantificabili. Ai quali si aggiungono gli altrettanto gravi danni reputazionali: non è infatti difficile capire che per questo territorio, come del resto per l’intera Toscana, quello del paesaggio è un valore aggiunto insostituibile.
L’allarme sullo stato comatoso delle nostre pinete, ad esempio, risuona oramai da tempo inascoltato. L’ultimo ad alzare la voce a mezzo stampa, con l’autorevolezza che gli deriva dalla competenza, è stato il presidente dell’Ordine dei dottori agronomi e forestali della provincia di Grosseto, Domenico Saraceno. Il pretesto è stato l’abbattimento di alcuni pini pericolanti lungo viale Montecristo, a Marina di Grosseto. Ma Saraceno ha lanciato la palla in avanti: «ad essere a rischio per gli attacchi dei parassiti non sono più soltanto le pinete marittime, ma anche il verde pubblico della città capoluogo». Oramai accerchiata, come dimostrano i danni conclamati riportati dai pini del viale di accesso all’ex Enaoli di Rispescia.
Le pinete litoranee piantate dai Lorena per proteggere dalla salsedine le coltivazioni della piana bonificata con la tecnica delle “colmate”, sono in questo momento la vera e sottovalutata emergenza. Ambientale ma anche “turistica”. Basta chiudere gli occhi e immaginare cosa sarebbe la fascia costiera della Maremma, da Capalbio a Follonica, se i parassiti prendessero il sopravvento. Oppure basterebbe farsi un giro dalle parti di Principina a Mare o Marina di Grosseto, dove ampi pezzi di pineta sono oramai paesaggi lunari. Per non parlare delle devastazioni ingentissime causate dagli incendi dolosi a Marina di Grosseto e Castiglione della Pescaia soprattutto nelle estati del 2012 e 2017, ma non solo.
Il “mito” della Maremma come destinazione turistica poggia soprattutto sulla reputazione ambientale e paesistica del territorio, della quale è una componente essenziale proprio la pineta costiera. Che però da una ventina d‘anni a questa parte, anche per cause naturali, sta velocemente andando in malora. Mancata manutenzione o sostituzione delle piante arrivate a fine ciclo – la pineta non è un bosco naturale – e diffusione veloce di fisiopatologie causate da parassiti, sono le principali cause del veloce e progressivo stato di sofferenza delle maestose piante di pino che tanto piacciono a chi viene in vacanza sui nostri lidi. Fra l’altro, sempre ai parassiti, è dovuta la scomparsa della coltivazione della pina per la raccolta dei pinoli destinati all’industria dolciaria. Coltivazione che presidiava la pineta in conseguenza della sua funzione produttiva.
La gran parte delle pinete lungo il litorale, peraltro, è di proprietà privata. Ed essendo tutte vincolate sotto il profilo paesaggistico risultano un bene che difficilmente produce un reddito. Reddito che in molti casi farebbe rima con edilizia (seconde case o strutture ricettive), ma che la salvaguardia ambientale della fascia litoranea rende giustamente incompatibile.
Poiché combattere le infestazioni dei parassiti che attaccano le piante di pino è molto costoso, ed altrettanto lo è ripiantumare e manutenere le pinete cui mani interessate o piromani patologici hanno appiccato il fuoco, bisogna allora porsi il problema di come salvaguardare per il futuro questo gigantesco e prezioso patrimonio naturale. Deperendo il quale la costa maremmana perderebbe buona parte del proprio appeal turistico.
Gli Enti locali, almeno in questa fase, hanno poche risorse anche per la manutenzione della proprie residuali quote di pinete demaniali. La Regione Toscana ha provato con bandi che assegnano ai privati o ai Comuni che ne fanno richiesta un po’ di risorse di provenienza comunitaria. Ma in entrambi i casi si tratta di un “brodino caldo” dato a un malato in fase terminale. Mentre le lancette corrono e entro pochi anni l’abbandono delle pinete avrà effetti irreversibili, e disastrosi.
Anche se rischia di passare per il tentativo di riesumare gli “espropri proletari” di qualche decennio fa, vale la pena pensare all’ipotesi di pubblicizzare progressivamente pezzi di pineta per arrivare a costituire un grande parco pinetato della fascia costiera. Rispetto al quale programmare nel medio lungo periodo investimenti pubblici significativi, valorizzando gli accessi al mare per ricavarne risorse integrative da destinare alla manutenzione. E intercettando con metodo finanziamenti comunitari.
In provincia di Grosseto, ad esempio, c’è l’esperienza della riserva naturale delle “Bandite di Scarlino”, che gestisce un notevolissimo patrimonio demaniale, incluse Cala Violina e Cala Martina, con un bilancio annuo che supera oltre tre milioni di euro.
Certo, si tratta di una strada tutt’altro che semplice o scontata, ma considerato lo stato dell’arte è forse l’unica sulla quale ragionevolmente oggi varrebbe la pena avventurarsi…..