L’economia maremmana viaggia a fari spenti nella notte, ma qualcuno comincia a volerli accendere sperando non sia troppo tardi. È il messaggio esplicito, urbi et orbi, arrivato dalle assise generali della delegazione di Grosseto di Confindustria Toscana Sud, tenutesi venerdì scorso alla ex fonderia Leopolda di Follonica.
Colpo d’occhio patchwork in platea, dove si alternavano le prime file in blu confindustriale d’ordinanza, maglioncini e giubbotti multicolore del sindacato, e i casual eleganti delle altre categorie imprenditoriali. Con due vistose assenze: Confartigianato e, eccezione fatta per l’assessore regionale Ciuoffo, tutta la classe politica al completo. A partire da quella rappresentativa del governo. Rispetto al quale era palpabile lo scetticismo che serpeggia nel mondo del lavoro e della produzione.
Ad ogni modo a Follonica – non a Grosseto – c’erano appassionatamente quasi tutti, e ovviamente non è stato un caso. A partire dalla Cgil schierata con una falange di rappresentanza guidata dal segretario della Camera del lavoro Claudio Renzetti. Presenza figlia dell’evidente “entente cordiale” tra il diavolo e l’acqua santa, suggellata dalla relazione del presidente di Confindustria Toscana Sud Francesco Pacini, incentrata sul ruolo del manifatturiero come elemento di traino per l’agognata ripresa di un territorio in preda a patema da crescita zero. Argomenti “gemelli” di quelli al centro del congresso della Cgil tenutosi esattamente la settimana prima al granaio Lorenese di Spergolaia. Lorena qui, Lorena là: a simbolica sanzione della nuova santa alleanza tra “padroni” e “proletari” per provare a uscire dal tunnel (dello sfinimento).
A sintetizzare la voglia di riscossa del mondo produttivo maremmano, una frase a effetto della vicepresidente nazionale di Confindustria Antonella Mansi ha chiosato sapientemente un ragionamento più ampio: «perché la narrazione del declino abbia fine, le potenzialità di questa terra devono diventare ambizioni, quindi ben venga questo patto per lo sviluppo». Detta con nonchalance confindustriale da una donna intelligente, charmant e birbante qual è la Mansi, la frase della presidentessa potrebbe essere così tradotta: muoviamo le chiappe; smettiamola solo di lamentarci e alziamo la voce. «Che tanto – ha aggiunto riferendosi al corridoio tirrenico e ad altre eterne incompiute – se non lo fate voi (rivolto al mondo dell’impresa), ad alzare la voce non saranno certo i politici». Mentre il convitato di pieta, ministro Toninelli, incombeva sul composito parterre.
Il lavorio diplomatico fra le associazioni e i sindacati che per giorni ha preceduto l’assemblea di Confindustria, d’altra parte, ha prodotto una documentessa che prefigura un “patto per lo sviluppo” con l’obiettivo di ottenere dalla Regione il riconoscimento di “area di crisi complessa”. Stante lo stato pre comatoso dell’economia maremmana. Sottolineato con impietosa pacatezza dai numeri snocciolati dal presidente di Confindustria Toscana Sud, Francesco Pacini. Determinato però a non vestire i panni del becchino.
La novità, tuttavia, non sta nella formula poco immaginifica del “patto” consegnato alle amorevoli cure della Camera di Commercio, ma nel fatto che per la prima volta da molto tempo a questa parte il mondo imprenditoriale e quello del lavoro dipendente siano compatti nel sostenerlo; anche se nell’ombra s’agita una isolata minoranza alquanto tiepida. Novità che si sostanzia fra l’altro nel ruolo forte affidato al settore manifatturiero nella strategia di rianimazione dell’economia provinciale.
Una novità certamente positiva, ma oggettivamente un po’ tardiva. Come con curiale perfidia ha accennato l’assessore regionale alle attività produttive Stefano Ciuoffo, ricordando ai presenti che i mostruosi ritardi accumulati nella realizzazione del corridoio tirrenico sono per una buona parte dovuti all’incapacità della Maremma di trovare una linea condivisa. Dando una labbrata “bonaria” alla politica, al comitatismo imperante ma anche al mondo della rappresentanza economica. Negli anni passati o troppo rissosi o troppo ondivaghi. Oltre naturalmente che al governo attuale, la cui inconcludenza è data un po’ da tutti per scontata, per quanto mal sopportata.
Comunque sia quello che è stato è stato. Concentrarsi sugli errori del passato rischierebbe di attardarsi appunto sulle potenzialità e non sulle ambizioni di rilancio di un territorio che, come ha messo in chiaro Pacini, è all’ultimo posto fra le province della Toscana rispetto a tutti i principali indicatori macroeconomici.
Essendo l’assemblea di Confindustria, il focus non poteva che essere sul settore manifatturiero. Che in provincia di Grosseto pesa sul Pil appena per il 5,5% (al netto dell’edilizia) a fronte del 14,9% di Siena e del 26,4% di Arezzo, per rimanere alla Toscana del sud. Il manifatturiero – che la strategia europea 2020 indicava come obiettivo al 20% – però, è anche un settore trasversale ad altre attività economiche come l’artigianato, l’agroalimentare e le costruzioni, e quindi ha la possibilità di crescere senza entrare in competizione con altre vocazioni produttive. Compresa quella del turismo. Su questo sembra esserci una larga convergenza politica fra le categorie.
Il problema oggettivo è che per alimentare questo tipo di crescita servono tempi medio lunghi, investimenti, e infrastrutture trasportistiche efficienti, senza le quali appare illusorio che si consolidino o nascano nuove attività manifatturiere. La santa alleanza fra le categorie economiche e sindacati ratificata venerdì a Follonica potrebbe sbloccare l’ulteriore grottesca empasse in cui da cinque mesi è precipitato il corridoio tirrenico. Potrebbe essere lo squillo di tromba che dà il là al processo di riscossa dell’economia maremmana. Il ministero delle infrastrutture ha una nuova spina nel fianco. Speriamo sia la volta buona.