GOSSETO – Piovono pietre sul turismo maremmano. A ben guardare nemmeno troppo inaspettatamente. Nel 2017 la provincia di Grosseto è stata in Toscana la peggiore per incremento delle presenze di turisti sul 2016: uno striminzito +0,3% a fronte di un anno eccellente con la media regionale a +3,8%. Solo Pisa e Lucca hanno registrato una diminuzione. Ma soprattutto a preoccupare è il trend degli ultimi dieci anni: dal 2007 al 2017 il nostro territorio è praticamente rimasto fermo, totalizzando un risicato +0,9%, mentre nello stesso periodo altre realtà sono andate come treni: Livorno +12,7. l’area di Firenze +37,7%. Arezzo +19,8%. Solo per citarne alcune. La Toscana nel suo complesso, dal 2010 al 2017, ha visto un aumento delle presenze del 18% (+28% gli stranieri, +6% gl’Italiani).
A mettere inequivocabile il dito nella piaga maremmana è stato l’Irpet (istituto regionale per la programmazione economica della Toscana), nel suo “Rapporto sul turismo in Toscana – la congiuntura 2017” appena presentato a Firenze. «La provincia di Grosseto – sottolinea testualmente l’istituto di ricerca – è uno dei puzzle irrisolti della competitività del sistema turistico regionale negli ultimi anni. Sistema turistico estremamente dinamico fino alla crisi, che sembrava aver superato con una certa capacità di resilienza, in particolare per la tenuta di alcuni mercati interni (i laziali su tutti). Sistema che, invece, successivamente al 2013 perde velocità».
Il problema di fondo è quello della bassa internazionalizzazione della domanda. Sul fronte degli stranieri, infatti, tra il 2013 ed il 2017 le presenze turistiche diminuiscono di circa 100.000 unità (-5,6%). E l’aumento degli italiani (+4%) non è sufficiente a trainare la crescita della destinazione. Cosicché il sistema turistico maremmano se ne rimane di fatto fermo ai valori del 2007 (+0,9% le presenze), mentre sottolinea impietosamente l’Irpet «anche nell’ultimo intervallo temporale resta al palo (+0,3% lo scorso anno)». Guardando poi agli “ambiti territoriali”, l’Amiata risulta nel lungo periodo l’anello debole: -24%, nonostante una forte crescita delle presenze registrata quest’anno (+18%). Ma anche la costa negli ultimi dieci anni dà segnali preoccupanti con bassi valori di crescita, prossimi al 2%. L’anno scorso, peraltro, la zona costiera a sud è cresciuta del 2%, mentre quella a nord è diminuita del 2,3% sull’anno precedente.
Stridente il contrasto tra la costa grossetana e quella livornese: nel decennio considerato, 2007-2017, Grosseto fa +0,9%, Livorno +12,7%. Nel 2017 Grosseto guadagna uno striminzito +0,3%, Livorno un tondo +6%. Nel 2016 Grosseto totalizzava un -3,1%, Livorno -0,6%. Dati che preoccupano sia perché fotografano un gap competitivo tra territori simili, sottolineato dal «minor appeal rispetto al mercato europeo occidentale» e da una minor capacità di «tenuta e crescita sul segmento degli italiani provenienti dalle regioni settentrionali». Sia perché quella del 2017 è stata un’estate turisticamente eccellente per due motivi concomitanti e difficilmente replicabili: il prolungato caldo torrido e l’incremento in Italia dei flussi turistici nazionali ed esteri per i timori suscitati dai possibili attacchi terroristici in altre destinazioni mediterranee.
Se il quadro è a tinte vagamente fosche, tuttavia, non bisogna assecondare il pessimismo cosmico e capire le cause di un senso di marcia che non è ineluttabile. Intanto una considerazione di sistema, che vale per l’intera Toscana: nel calcolo delle presenze ufficiali nel 2017 mancano all’appello circa il 7,8% delle presenze, corrispondenti al 18,4% delle strutture turistiche inadempienti nelle comunicazioni obbligatorie. In provincia di Grosseto albergatori e affini che lo scorso anno non hanno comunicato i dati al sistema di rilevazione dell’Istat sono stati il 14,5% del totale. L’Irpet lo attribuisce alla revoca ex lege delle sanzioni per le mancate comunicazioni e alla demotivazione degli operatori conseguente alla perdita di ruolo delle Province, che prima gestivano la raccolta dati. In altri termini, italico menefreghismo che inquina una rilevazione statistica determinante per leggere le dinamiche turistiche in atto sui territori. Danneggiando un intero sistema ricettivo.
Le presenze ufficiali in Toscana, inoltre, sono poco meno della metà di quelle totali. Con un metodo ponderato di stima, infatti, l’Irpet ha calcolato che nel 2017 le presenze non ufficiali siano state 48,7 milioni, a fronte di 46,4 milioni di quelle ufficiali. Non ufficiali sono le presenze nelle case di proprietà, di amici o parenti, in appartamenti affittati al nero o non inseriti negli elenchi delle strutture ufficiali.
Al di là di tutto questo, il fattore che più di ogni altro sta destabilizzando le certezze del sistema provinciale di accoglienza, è la prepotente avanzata degli affitti intermediati da portali come Airbnb. Una rivoluzione che – spiega con dovizia di particolari un articolo di Robi Veltroni sul sito specializzato “Officina turistica” – non ha nulla a che vedere con la sharing economy, ma che sta mettendo in crisi le strutture ricettive tradizionali. In provincia di Grosseto, non a caso, Federalberghi nel 2016 ha censito 2.710 alloggi registrati su Airbnb, 2.204 dei quali riferiti a interi appartamenti (1.127 disponibili per più di sei mesi) e 1.576 gestiti da host che mettono in vendita più di un alloggio, con appena 47 soggetti privati che hanno effettuato locazioni turistiche dei propri immobili. A Lucca, nel 2017, gli appartamenti su Airbnb erano 5.000.
In un contesto simile, ci sono naturalmente anche le cose positive: come il 4° posto di Castiglione della Pescaia e il 7° di Grosseto, fra i primi dieci comuni della Toscana per presenze turistiche. E a dire il vero non sono nemmeno le uniche, come dimostrano i timidi positivi segnali che arrivano dai nuovi collegamenti con l’aeroporto di Grosseto. Ma sarebbe miope e allo stesso tempo consolatorio ragionare ognuno rispetto al proprio microcosmo, magari anno su anno, evitando per convenienza di allargare lo sguardo a quel che succede nel comprensorio. Perché è del tutto evidente che la competitività non può essere declinata in termini comunali, ma ha senso solo se a esprimerla è un intero territorio che, come il nostro, è esso stesso la vera destinazione turistica. Diversamente da quel che succede per Firenze o Siena, ad esempio.