Il 2018 sarà l’anno dell’uccello “padulo”. Non si tratta come parrebbe del 13° segno dello zodiaco cinese, bensì di una garbata metafora maremmana che ben rappresenta la conditio nella quale, loro malgrado, durante l’anno in corso potrebbero imbattersi in molti. Partiti, elettori, Italiani tutti. Il “padulo” è un pennuto imprevedibile nei comportamenti, salvo il fatto che inesorabilmente s’appropinqua da tergo. E complice il capriccio del fato che s’accanisce su noi tapini, nessuno è al riparo dalle sue incursioni. Perché la vita è breve e imbattersi nel padulo è un lampo.
Le fresche elezioni politiche hanno lasciato il segno, nel bene e nel male. Come ai tempi del mitizzato referendum costituzionale il cui esito deliziò gli uni e scornò alquanto gli altri, anche stavolta la sovranità popolare ha fatto figli e figliastri. Che merita generalizzare per grandi categorie antropomorfe. Proseguendo nell’ideale continuum che da sinistra va a destra:
Podere al popolo. La sinistra goliardica è una delle “forze politiche” vincitrici alle elezioni. Non avendo mai avuto l’ambizione reale di conquistare poltrone perché non avrebbero saputo cosa farci, avevano un unico obiettivo: dimostrare di poter raccattar voti. Tenendo vivo il culto della rivoluzione permanente en attendant le prossime elezioni. Con zero mezzi ci sono riusciti: 1,12% alla Camera e 1,05% al Senato. Bravini, ma di gran lunga meno credibili degli Anarchici.
Liberi & Belli. I Liberi (di provarci) e Belli (per niente) escono con le ossa rotte dalla campagna elettorale. Nati su un’intuizione politica per niente malvagia – rimotivare alla partecipazione schifati e astensionanti – se la sono giocata nel peggiore dei modi. Non solo hanno usato un linguaggio politico dal timbro nostalgico, che nemmeno si avvicinava lontanamente, per capirsi, a quello del grandissimo Bernie Sanders o di Jeremy Corbyn. Ma in tempi di leadership mediatiche hanno scelto la faccia del buon Pietro Grasso. Come mettere “Gonzo” dei Muppet a fare il venditore in un salone della Ferrari. Effetto “ammazzafeste” garantito. Il mestiere non s’improvvisa, e l’apprendistato troppo ben retribuito non è efficace. Un’altra statua di cera nel museo della sinistra.
Europa, più o meno. Emma & the Wailers c’avevano creduto davvero, avendo dato l’impressione di potercela fare. Ma la fecondazione in vitro tra cattoliconi passatisti (anche se Tabacci è un grande) e frontisti delle libertà individuali non ha partorito il frutto agognato del 3% (almeno il 2,5% rinsanguerà l’esangue Pd). Le icone funzionano quando rimangono tali, sennò scadono al rango di marchio commerciale. Anche questa è andata, male. Il segnale che Emma Bonino è arrivata al proprio capolinea politico, e la dimostrazione concreta che quando si punta tutto e solo su uno specchietto per le allodole, le allodole fanno i gabbiani. E ti vanno nel sottocoda (Oops!). Tentativo generoso ma pretenzioso.
Piddinini. I mancini altruisti che ancora una volta si sono imbottiti le narici di cotone per non sentire il puzzo in nome delle magnifiche e progressive sorti dell’umanità, hanno ballato il loro ultimo walzer col Pd. Propensi al sacrifico di sé per cultura e masochismo, si sono frantumati definitivamente le gonadi anche loro. A far traboccare il vaso non tanto l’avita sconfitta, alla quale laicamente e tradizionalmente erano abituati, quanto il tragicomico comportamento post elettorale di cotanto segretario nazionale. Tale Matteo Renzi. Figuro losco ed egocentrico, arrogante anche quando scia, costui ne ha abbattuto la residua libido per la politica come motore collettivo di cambiamento. Avviliti dalla consapevolezza che alla prima occasione dovranno votare cinquestelle o chiudersi nel proprio particulare. Rassegnati all’alcolismo.
Piddio (Il Pd sono io). Bagnati fradici al brusco risveglio dall’estasi d’onnipotenza, stentano ad abbandonare lo stato d’ipnosi nel quale sono precipitati. Ancora rapiti dal culto del capo, si preparano alla battaglia finale chiusi all’interno del bunker costruito nella giungla di madornali cazzate messe in fila con certosina perseveranza. Gli amici e i parenti, costernati, guardano a loro oramai come a una setta di culto satanico, attendendo l’annunciato tragico epilogo. Come nel 1969 a Bel Air con Charles Manson. Solo che “loro” si ritroveranno a Ortisei (Bz), insieme a Maria Elena e al capo, per inscenare un suicidio politico di massa all’insegna della grandeur che ha segnato la parabola del renzismo: durante le consultazioni orchestrate da Mattarella si recheranno in cima al monte e in un grande fuoripista collettivo provocheranno una gigantesca e coreografica valanga. Motto: «après moi le déluge!».
Giulivi stelluti Derisi e sbeffeggiati a lungo perché indegni di sedere nell’olimpo degli ottimati della politica italiana, si sono presi la rivincita sul congiuntivo presente, imperfetto, passato & trapassato. Basiti del successo nonostante le inenarrabili prove di pressappochismo e misticismo parascientifico di cui sono stati capaci, ora se la godono alla grande. Ma durerà poco, pochissimo. Aver tenuto duro contro tutto e contro tutti è stato un merito, va riconosciuto. Ma il discrimine tra tenere duro ed esser duro (come le proverbiali pine verdi) è alquanto permeabile, e le petraccole (trappole ndr) che questo comporta sono insidiosissime. Non basta vincere per governare. Non basta il ruolo se non hai autorevolezza. O trattano per formare il governo dismettendo i panni farseschi dei Torquemada de noantri, o finiranno male. Malissimo. Peggio del Pd attuale. In un tempo anche più breve, perché primo o poi finirà l’equivoco post ideologico. In cerca del farmaco ansiolitico giusto.
Italici sforzuti. L’elettorato gli ha tosato la chioma. E i corifei del “Menomale che silvio c’è” si sono ritrovati come Sansone, privi di forza (politica). In overdose da Gerovital e integratori, il vecchio Tutankhamon aveva pensato di poter rimettere tutti sotto alla tenera età di 81 anni, ma ha sopravvalutato sé stesso e l’effetto del botulino. In parallelo a quel che è successo al suo alter ego di Pontassieve, che viceversa puntava tutto sull’energia della gioventù. L’entropia, però, non s’è sprigionata, e l’inciucio degli inciuci architettato all’ombra della legge elettorale è miseramente naufragato. Con l’aggravante che ora i forzitalici si ritrovano ostaggio del sanguinario Salvini, che pensavano di poter confinare al ruolo di pericoloso destabilizzatore da tenere sotto tutela. Affrante e smarrite le truppe azzurre attendono trepidanti un segnale dall’Olimpo di villa San Martino, dove però gli architetti stanno lavorando al mausoleo dove Sirvio conta di fare il suo ingresso fra una trentina d’anni. Edificio che avrà a modello la tomba dell’esercito di terracotta del primo imperatore della Cina, Qin a Xi’an. Terrorizzati dalle camicie verdi.
Slegati. Leghisti inebriati. Hanno vinto su tutta la linea: dal 4 al 18% in pochi anni; messo sotto Berlusca in attesa di fagocitarne l’elettorato per sopraggiunti limiti d’età; confinati al ruolo di neofascisti da salotto i Fratelli d’Italia; legittimato il rutto libero, le armi distribuite come caramelle e il razzismo come argomenti pacifici di discussione politica; data rappresentanza politica e culturale a tutti gli xenofobi, sovranisti e sessisti d’Italia, togliendo spazio agli impresentabili di Casa Pound e Forza Nuova. Cosa volere di meglio da una singola tornata elettorale? Tanto più che se ce l’ha fatta un troglodita ultrasettantenne come Donald Trump, figurati se non può farcela uno vispo come Salvini? Erede unico in pectore della destra italica.
La fantasia corre, salvo che non inciampi rovinosamente. Se non si sbriga a capitalizzare il momento propizio, infatti, più prima che poi in quei lidi politici verrà fuori un carneade alla Macron. Molto più credibile alla guida di una destra costituzionale ed europeista che finalmente uscirà allo scoperto anche in Italia. Perché per quanto tenti un imborghesimento a tappe forzate, Salvini è ancora un barbaro che deve accreditarsi alle corti europee. Ancora tanta pasta da mangiare.
Italiani tutti fratelli. Last but not least, la borgatara nera Giorgia Meloni è fra coloro che paiono godersela. I Fratelli italiani hanno avuto un buon risultato, ma rimangono un partito satellite. Scavalcati a destra dalla Lega ma contigui agli untouchables dell’estremismo nero extraparlamentare. Umanamente simpatica, la campionessa della famiglia tradizionale, che “coerentemente” fa coppia di fatto, rimane ancora un personaggio della disneyland politica italiana. Con quell’inflessione romanesca ruffiana e ostentata non riesce a emanciparsi a livello di politica di rango, inciampando in gaffe imbarazzati. Come quella che l’ha vista protagonista a Torino, soccombendo malamente di fronte al direttore del Museo egizio. Fra l’altro, più che sociale la destra della Meloni è oramai un elemento d’arredo dei salotti televisivi tipo “L’aria che Tira”. E l’aria dev’essere oramai viziata assai, se è dovuta andare a fare una comparsata a Budapest dal camerata Orban per dimostrare d’avere “relazioni internazionali”. In un vincolo cieco (quello del Duce).
P.S. A Casa di Pound tira n’ariaccia. I bravi ragazzi col bomberino di Simone di Stefano (Casa Pound) hanno fatto flopp(e). Non entrano in parlamento e mo’ so’ cazzi, perché non fanno più paura e ponno esse’ scaricati su input del grande fratello destro Matteo Salvini, che tanto copre l’area politica da solo.
Ne sanno qualcosa proprio a Grosseto, dove a 24 ore dal risultato elettorale acquisito c’è stata la prima declinazione pratica del nuovo diktat politico. Colà il consigliere Gino Tornusciolo, casapoundino di vaglia, dopo quasi due anni da portatore d’acqua s’è ritrovato estromesso dalla maggioranza dal sindaco in persona. Riscopertosi d’un tratto civico incompatibile con le brutte ideologie neofasciste. Ora il Tornusciolo dovrà vedersela con quelli di Roberto Fiore, Forza Nuova, che già li sfottevano per essere troppo poco fascisti. Io speriamo che me la cavo.