GROSSETO – «”Il privato – ci dicevano – è sinonimo di efficienza rispetto al carrozzone pubblico che è fucina di sprechi e disorganizzazione”. Poi succede che mezza provincia rimane senza acqua per tre giorni e chi dovrebbe risolvere la situazione non riesce a far funzionare neanche il proprio call center o a dare un minimo di risposte sul sito o sulla pagina Facebook. Non riescono a gestire la presenza sulla rete telematica ma si occupano della rete idrica». Inizia così la nota di Articolo Uno Mdp sui recenti problemi che si sono verificati nel nord della provincia.
«Nelle ultime settimane – spiega il coordinatore provinciale di Articolo Uno MDP Luca Alcamo – abbiamo assistito in molte zone della Maremma alla sospensione (più o meno lunga) del servizio idrico, con autobotti che viaggiavano in lungo e in largo, turisti puzzolenti e in fuga, operatori turistici imbestialiti, ristoratori in crisi di nervi e anziani (sempre pragmatici) in coda alle poche fontanelle funzionanti con taniche in plastica, sandalo e calzino d’ordinanza e una variopinta lista di anatemi da sparare nel mucchio. Con cittadini divisi fra la voglia, sacrosanta, di fare causa a qualcuno e la tentazione di farsi la doccia con l’acqua del ferro da stiro».
«Sulla questione dell’acqua pubblica abbiamo fatto un referendum nell’ormai lontano 2011, con un quorum raggiunto e superato nettamente ed una percentuale di “sì” intorno al 95%. Purtroppo però è rimasto lettera morta, la gestione dell’acqua rimane infatti in mano a società per azioni ignorando completamente il voto degli Italiani e dimostrando, ancora una volta, che il concetto di democrazia non è stato chiarito a sufficienza nel corso degli anni».
«In attesa che nel nostro Paese la classe politica ritrovi, in uno scatto di coraggio, il buon senso di ammettere che alcuni servizi essenziali debbano tornare in mano esclusivamente pubblica, possiamo perlomeno pretendere che si raggiunga un minimo livello di efficienza? Sì può chiedere, come di recente proposto dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, che una parte del patrimonio delle società di gestione dell’acqua venga reinvestita per rinnovare le tubature ormai obsolete, usurate e ridotte al livello di un colabrodo? Il presidente Rossi suggerisce l’uno per cento, a noi grossetani pare anche poco, ma siccome siamo gente tutto sommato tranquilla ci accontenteremmo volentieri».
«Nel nostro Paese circa il 40% dell’acqua introdotta nei tubi si disperde prima di raggiungere un rubinetto. Poco meno della metà. Ogni anno, in particolar modo in questo torrido 2017, ragioniamo di emergenze idriche, ma l’idea di iniziare tappando i buchi non viene a nessuno? Poi magari si fanno campagne per insegnare ai cittadini chiudere il rubinetto fra una spazzolata di denti e l’altra (per carità eh…). Iniziamo anche a supportare i privati mettendoli in condizione di tenere i pozzi in efficienza e trovando un modo per far sì che gli agricoltori siano aiutati e incoraggiati ad attrezzarsi con invasi propri. Perdere raccolti alla lunga vuol dire abbandonare terreni agricoli a sé stessi: negli ultimi dieci anni abbiamo perso il 10% di superficie agricola coltivata. E i terreni incolti tendono a prendere fuoco (e indovinate con cosa si spegne?).
«In un mondo che si fa sempre più rovente l’acqua è destinata a diventare, di nuovo, la risorsa più preziosa del pianeta. Già oggi buona parte delle guerre in corso non si combattono più per il petrolio, ma per l’acqua. Smettiamo di buttarla via».