di Barbara Farnetani
RIBOLLA – “Abbiamo visto i minatori, l’ultima volta (…), mentre partivano per la terza ‘gita’, quella di mezzanotte. Sostavano immobili (…) con il tascapane a tracollo, silenziosi, severi e gravi in volto, come gente che consapevolmente va incontro ogni giorno alla fatica e al pericolo”. Con questo passo, tratto da ‘I minatori della Maremma’ di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola, Silvano Polvani ha deciso di aprire il suo ultimo libro ‘Giuseppe Di Vittorio e i minatori di Maremma’. La pubblicazione, di cui si è parlato a Ribolla nell’ambito del convegno organizzato dalla Cgil di Grosseto, e in collaborazione con la camera del Lavoro di Foggia, per ricordare la figura di Giuseppe Di Vittorio, è stata presentata lo scorso 4 maggio, anniversario della strage del ’54 in cui persero la vita 43 minatori. All’incontro, ospitato nell’ex cinema di Ribolla, attuale porta del parco minerario del comune di Roccastrada e luogo simbolo della tragedia (dopo l’incidente accolse le bare delle vittime) hanno partecipato Lorenzo Centenari e Mara De Felici Cgil Foggia.
Una figura, quella di Di Vittorio, di cui Polvani tratteggia storia e passione politica, dall’inizio, quando umile bracciante ancora adolescente partecipa ai primi scioperi, alle lotte per la giornata lavorativa di nove ore, sino a giungere in parlamento. Arrestato più volte durante il periodo fascista trascorse molti anni in esilio all’estero. Fu nominato segretario generale della Cgil e persino della Federazione sindacale mondiale. Nel 1947 partecipò a Massa Marittima al terzo congresso dei minatori della Maremma. Una folla imponente assistette al suo comizio dal balcone della casa del popolo. Di Vittorio definì i minatori eroi del lavoro, tratteggiando la necessità di nazionalizzare le industrie chiave così da rendere i lavoratori “padroni del loro destino economico e sociale”. Giuseppe Di Vittorio illustrò poi il quadro di riforme preparato dal sindacato ponendo così le basi del futuro Piano del lavoro che prenderà piena forma un paio di anni più tardi. E saranno proprio i principi contenuti nel Piano del lavoro a dare origine, nel 1951, alla lotta dei cinque mesi, uno sciopero a oltranza dei minatori contro la Montecatini. Una protesta forte e dura che non darà i frutti sperati, ma che resterà nella memoria e nell’immaginario collettivo di tutta la Maremma non fosse altro che per la gara di solidarietà che se ne originò, con la popolazione pronta ad autotassarsi e offrire il poco che aveva per sostenere le famiglie dei minatori ormai senza stipendio.
Il filo tra Giuseppe Di Vittorio e la Maremma però non si interrompe con quell’unico comizio di Massa, il sindacalista continuerà a seguire le vicende dei minatori della nostra provincia, sino a quel terribile giorno del 1954, quando l’esplosione del pozzo Camorra rese chiari a tutti i bassi standard di sicurezza in cui la Montecatini faceva lavorare i propri dipendenti. Tra le 50 mila persone presenti ai funerali c’è anche Di Vittorio. La sua voce emozionata è piena di vibrante commozione “Noi non permetteremo più – afferma – che la vita di tanti nostri fratelli sia sacrificata all’egoismo, che accumula la propria ricchezza sullo sfruttamento delle umane fatiche. Su queste bare noi vogliamo fare un giuramento: di essere sempre più uniti e più forti, affinché si imponga il rispetto di quelle misure sindacali, legali e umane che garantiscono la serena esistenza dei lavoratori.” Di Vittorio conclude con una promessa: “Giuriamo che il vostro sacrificio non sarà dimenticato, che sarete elevati a simbolo di riscossa, di redenzione sociale e umana di tutti i lavoratori.” Una strada, quella intrapresa allora che non è ancora giunta al capolinea e tutt’ora merita di essere percorsa e perseguita, per garantire a tutti sicurezza e dignità sul posto di lavoro.
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