GAVORRANO – «In Italia il 10 febbraio si ricordano le foibe e l’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia. “Questo “giorno del ricordo”, così come viene celebrato dal 2005, è una sorta di triste compromesso che non ha alcun fondamento storico dimenticando che le foibe e l’esodo dei giuliano-dalmati costituiscono una diretta eredità del ventennio fascista e dell’occupazione italiana dei Balcani durante la Seconda guerra mondiale”. Così si esprime Angelo Del Boca, partigiano e primo storico italiano che ebbe il coraggio di denunciare le atrocità compiute dalle truppe italiane nelle colonie».
E così interviene l’Anpi di Gavorrano e Scarlino in merito alle celebrazioni del giorno del ricordo.
«Tra il 1941 e il 1943 circa 150 mila sloveni scomparvero. Cifre enormi anche se basta pensare che nell’isola di Arbe, sede del principale campo di concentramento italiano per jugoslavi, il tasso di mortalità era di oltre il 19%, e quindi superiore a quello dei campi di sterminio. E dopo il ritrovamento dell’armadio della vergogna si sono avute ulteriori conferme».
«Ancora usando le parole di Del Boca: “Questa commemorazione è una battaglia strumentale della destra che si pone in contrapposizione alla Giornata della Memoria alla quale anche i partiti di sinistra si sono adeguati per non lasciare il monopolio assoluto all’altra fazione. Il revisionismo in Italia ha fatto grandi progressi”. Così approfondire, parlare di foibe, esodo e storia coloniale del fascismo sul confine, vuol dire rendere più attuale la consapevolezza che quelle atrocità non si debbano ripetere».
«Non si può capire l’azione congiunta di partigiani jugoslavi ed italiani che ha generato le foibe e l’esodo di migliaia di italiani da quelle terre, se non si ripercorre la storia del Novecento a partire da quando l’Italia, vincitrice nella Prima guerra mondiale, ingloba nel proprio territorio 327 mila sloveni e 152 mila croati, ed anziché scegliere la strada del rispetto per le minoranze, sceglie quella dell’assimilazione forzata e brutale basata sull’annientamento del popolo slavo».
«Questo processo imposto dal fascismo portò alla soppressione totale delle istituzioni slovene e croate, al divieto dell’uso del serbo-croato ed all’imposizione dell’italiano come unica lingua nelle scuole e negli uffici pubblici dove vi fu una fortissima limitazione nell’assunzione di impiegati sloveni. Venne attuata l’italianizzazione delle principali città con il trasferimento in esse di popolazione italiana e nelle scuole furono licenziati gli insegnanti di madrelingua slava».
«Scomparso quindi ogni diritto a tutela dell’identità slava, si arrivò perfino all’italianizzazione forzata dei cognomi. Anche la gerarchia ecclesiale vaticana fece la sua parte nel “programma” rimuovendo dall’incarico i vescovi slavi di Gorizia e Trieste ed abolendo l’uso della lingua locale nelle funzioni liturgiche. Programma che l’Italia fascista cercò di completare nel 1941, quando incorporò nel proprio territorio la parte meridionale della Slovenia».
«I risultati di questa condotta sono tristemente noti: 13 mila uccisi, fra partigiani e civili; 26 mila deportati in campi di concentramento; 83 condanne a morte, 434 ergastoli, 2695 pene detentive per un totale di 25.459 anni».
«Non uno solo dei generali italiani che hanno operato nei Balcani, tra il 1941 e il 1943, ha pagato per i suoi crimini. Così come nessun generale o gerarca fascista ha pagato per le stragi, le deportazioni, l’uso dei gas in Etiopia e in Libia. Alcuni di costoro, anzi, hanno avuto incarichi ed onori dagli stessi governi della Repubblica, nata dalla Resistenza. Chi sperava in una “Norimberga italiana” è rimasto deluso a tal punto che Roma nel dopo guerra assunse la deprecabile decisione di non consegnare a paesi stranieri criminali di guerra; soltanto Belgrado ne aveva richiesti 750».
«Sul piano della verità le Foibe non rappresentano affatto il simbolo del genocidio della popolazione italiana e dell’indiscriminato odio anti-italiano; non ci fu nessun sistematico sterminio etnico contro gli italiani, ma una comune rivolta contro gli aguzzini nazifascisti, contro gli Ustascia e contro i collaborazionisti che si erano macchiati di ogni sorta di crimini. Una lotta di liberazione a tutti gli effetti contro la barbarie nazifascista e per la riappropriazione della libertà e dell’indipendenza nazionale alla quale parteciparono unitariamente diversi popoli e diverse formazioni partigiane comprese quelle italiane».
«Vorremmo che si allargasse fortemente il fronte unito antifascista ed antirazzista per impedire tali manifestazioni di incitamento all’odio e di chiara apologia del fascismo e di dare finalmente il via allo scioglimento dei gruppi neofascisti ed alla chiusura delle loro sedi».