GROSSETO – Arrampicarsi su una città è un po’ come scavare all’interno di una persona: permette di scoprire cose che altrimenti non potrebbero essere viste.
Sarajevo, rispetto a tante capitali europee, non possiede un monumento nel centro storico che possa fungere da torre di avvistamento: non c’è un grattacielo, non c’è una city hall, neppure un Duomo che sovrasti ciò che sta intorno. Ma, disseminati in tutta la Old City, ci sono i minareti delle moschee. Basta alzare gli occhi e si vedono, spuntare tra i tetti delle case imbiancati dalla neve.
Solitamente non sono visitabili, ma in Bosnia la gentilezza e la cordialità delle persone permette di superare un po’ tutti gli ostacoli, che siano economici, linguistici, culturali o religiosi. Arrampicarsi per le centinaia di scalini di un minareto, è già un’avventura. Non sono fatti per i visitatori, ma chi deve raggiungere la cima o per chiamare i fedeli alla preghiera o per sistemare qualcosa, che sia il microfono che permette alla voce del muezzin di raggiungere tutto il quartiere, che sia per un problema al terrazzino. Già, il terrazzino. C’è da fare attenzione perché non soltanto il passaggio è strettissimo e ricoperto dalla neve, ma la protezione è bassa e – anch’essa – ghiacciata. E le rampe di scale sono buie, con una pendenza assurda, strettissime, e nel viaggio di ritorno, in discesa e con le scarpe bagnate, si fa meno fatica ma serve molta più attenzione. Però è pur sempre un minareto, non il K2, quindi se vi piace camminare in salita e non soffrite di vertigini è un’opportunità che non va assolutamente sprecata. Sia per l’emozione che si prova, scalino dopo scalino, nell’avvicinarsi alla meta. Sia, soprattutto, per lo spettacolo che si apre agli occhi del visitatori una volta varcata la porta che conduce al terrazzino.
Sarajevo ricoperta dalla neve, vista da due diverse posizioni (quella della moschea Sultan Fatih, accanto al ponte dell’Imperatore, e quella della moschea Baščaršijska, proprio accanto a Sebilj), non ha bisogno di particolari commenti o indicazioni: meglio guardare le foto e farsi da soli un’idea.
Dopo una doppia scarpinata obbligatorio rifocillarsi di un altro piatto bosniaco, con calore e calorie in abbondanza. Stavolta assaggiamo un burek più raffinato, quello che si può mangiare – sempre nel cuore della Old Town – alla Buregdzinica. Già detto che si tratta di cannelloni di pasta sfoglia riempiti di carne di vitello speziata, vengono accompagnati con il solito formaggio kaymak. Anche qui amano gli italiani, così diventa d’obbligo chiedere e ottenere la possibilità di fotografare il forno in cui il burek viene prodotto e del bancone ricco di carne di ogni genere, maiale escluso, servita con patate.