GROSSETO – «Voterò sì al prossimo referendum sulla riforma della Costituzione». Così il partigiano Nello Bracalari, storico presidente provinciale dell’Anpi, in una lunga lettera motiva le ragioni della sua scelta.
«Sono stato staffetta partigiana, ho l’alto onore di essere militante dell’ANPI, di cui sono stato presidente provinciale fino al congresso dello scorso Aprile, ma, in dissenso con la posizione ufficiale espressa dalla organizzazione a cui appartengo, sono orientato a votare SI al prossimo Referendum sulla riforma della Costituzione.
Di questo mio orientamento ne ho reso edotta la mia associazione con un intervento svolto al congresso provinciale, a titolo personale subito dopo essermi dimesso da presidente. Poiché per ragioni di salute (a 88 anni capita più facilmente) non ho potuto più partecipare al dibattito su questo tema, sento il bisogno di rientrare nella discussione per recare il mio modesto contributo, sempre a tiitolo personale,to intorno a un evento così importante che probabilmente verrà ricordato come uno spartiacque che segnerà la politica italiana per molti anni a venire.
Faccio questo perché ho l’impressione che, a dispetto dell’importanza della posta in gioco, la discussione sia affrontata in maniera troppo generica, evitando accuratamente di scendere nel merito, e per di più sia condotta in termini troppo propagandisti, pensando all’immediato vantaggio politico, invece di pensare come migliorare l’assetto istituzionale del nostro paese.
Questo succede sebbene la necessità e urgenza di una riforma costituzionale, in particolare per quanto riguarda l’ordinamento dello stato, mi sembra che venga riconosciuta dalla larga maggioranza delle forze politiche e sociali democratiche. Anche l’obbiettivo principale della riforma, quello del superamento del bicameralismo paritario, sembra anche esso condiviso dallo stesso arco di forze.
Di contro è anche normale e conseguente constatare la fiera opposizione al cambiamento da parte delle forse populiste, autoritarie e antidemocratiche, che hanno tutto da guadagnare dal perdurare della palude data una democrazia bloccata.
Sarebbe puerile partire dalla ovvia considerazione che, dal momento che questo obbiettivo viene colto dalla riforma, non vi dovrebbero essere obbiezioni insormontabili alla sua realizzazione. Mi rendo ben conto che ciò non è sufficiente e occorra valutare come viene realizzato e se questo serve o meno ad un rafforzamento della nostra democrazia.
Nel portare avanti le mie argomentazione non intendo svolgere una dotta arringa giuridica (anche perché non sono un giurista ), ma tentare semplificare la discussione, sulla base della mia pluriennale esperienza, individuando alcuni fatti incontrovertibili, sottraendoli così alle diverse opinioni di per se tutte legittime.
Il primo elemento basilare, che mi sembra debba essere riconosciuto, è quello che la riforma non riguarda la prima parte della costituzione, la quel quindi rimane “bella ed intatta” nei principi fondamentale e nei valori di fondo, ma tocca solo alcuni aspetti ordinamentale. La ristrettezza dell’ambito della riforma dovrebbe di per se mettere al riparo dalle patologie che invece vengono individuate, le quali metterebbero in pericolo la democrazia
Prendiamo il caso della elezione del Presidente della Repubblica. Attualmente, a costituzione vigente, può succedere (ed è successo spesso) che si arrivi alla elezione con la maggioranza semplice dei grandi elettori, sebbene la legge elettorale maggioritaria possa distorcere notevolmente la rappresentatività del collegio eleggente. La riforma invece, prevedendo che occorra la maggioranza dei due terzi del collegio, introduce un forte elemento di garanzia per le minoranze e obbliga le forze politiche a convergere su una personalità non divisiva, che possa incarnare l’unità della nazione. Questo è un fatto non una opinione.
Per quanto riguarda il cuore della riforma, il superamento del bicameralismo paritario, mi sembra che il fatto da non disconoscere sia la previsione di un Senato che, privato della prerogativa della fiducia, interviene nella produzione legislativa in rappresenta delle autonomie locali. E’ importate che si sia posto tale principio, mentre la mera norma di funzionamento potrà essere perfezionata e messa a punto in futuro, sulla base della prassi. Una prassi che ovviamente non potrà essere accumulata se si dice No al cambiamento.
Si noti inoltre che, oltre ai compiti individuati, il nuovo Senato potrà comunque partecipare a ogni processo legislativo generale con la possibilità di avanzare proposte modificative delle leggi votate dalla Camera. Poiché è sufficiente un terzo del nuovo Senato per avviare questo procedimento, anche questo fatto di configura come un allargamento dei diritti delle minoranze, effettuato da una riforma dipinta come liberticida.
Riguardo a questo tema non voglio esimermi dall’esaminare il “famigerato” articolo sulla elezione dei senatori. Un articolo che sicuramente poteva essere redatto in modo migliore, ma il “merito” dell’attuale formulazione è da attribuirsi a una lunga battaglia parlamentare condotta e vinta dalla sinistra, che alla fine ha mantenuto sostanzialmente il carattere elettivo del Senato dal momento che i senatori saranno eletti nei consigli regionali ma “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”. Non si capisce quindi il perché di tanta ostilità proprio da parte di chi sosteneva che questa necessità fosse imprescindibile.
Sempre in tema di diritti vorrei richiamare l’attenzione sull’istituto del referendum. Viene mantenuta la soglia delle 500 mila firme per la richiesta del referendum abrogativo, sebbene tale soglia, che nel 1948 rappresentava quasi il 2 per cento del corpo elettorale, oggi non raggiunga neppure la metà di tale valore. Viene inoltre introdotta un’altra forma di referendum abrogativo, per il quale a fronte della richiesta di una raccolta di 800 mila firme, prevede che il quorum per la validità sia calcolato sulla maggioranza dei voti validi espressi nelle più recenti consultazioni, impedendo così la pratica di utilizzare l’astensione fisiologica come deterrente.
Ora in base a questi fatti (non opinioni) mi sembra che la riforma porti ad un allargamento e non ad un restringimento della nostra democrazia.
In base a queste elementari considerazioni è maturata, al momento, la mia convinzione di votare per la realizzazione della riforma guidato anche dall’insegnamento di un grande comandante partigiano (Luigi Longo) che nel corso della sua attività ha sempre esortato a non avere paura del nuovo.
Altro consiglio che vorrei dare a tutti, è quello di abbassare i toni in questa battaglia referendaria, per non produrre macerie e divisioni insanabili.
I sostenitori del Si si devono rendere conto che, se prevarranno, ci sarà bisogno di approvare alcune leggi ordinarie di attuazione della riforma come l’attuazione ai nuovi tipi di referendum, ma soprattutto alla legge elettorale per le elezioni del senato. In tale ambito è possibile un impegno comune per conseguire ulteriori risultati positivi come potrebbe essere la perdita dello status di consiglieri regionali da parte dei senatori eletti (in analogia con quanto previsto dalla legge regionale della Toscana per i consiglieri eletti nella giunta) sciogliendo così ogni dubbio sul funzionamento del futuro senato
Lo stesso atteggiamento lo chiedo alla parte responsabile e democratica dei sostenitori del NO, i quali oggi vagheggiano l’approvazione di una “ben altra” riforma. Con chi pensano di realizzare questo obiettivo? Discutendo con Salvini, Brunetta e Di Maio? E pensano in questo modo di ottenere un testo migliorativo?
Per queste succinte ragioni il mio più caldo invito rivolto a tutti è quello di approfondire ancora l’argomento per poi esprimere un voto (parafrasando Prodi) che sia un voto da DEMOCRATICI ADULTI.