GROSSETO – «Quale futuro per la salute maremmana?» se lo chiede l’Ipasvi, il collegio degli infermieri, infermieri pediatrici e assistenti sanitari. «Basta parlare solo di ospedali e posti letto, guardiamo a quello che succede nel territorio con una prospettiva più ampia».
Il Collegio Ipasvi di Grosseto esprime «forte preoccupazione in merito allo stato di salute della popolazione maremmana se confrontata con gli altri due territori (Siena e Arezzo) con cui condividiamo la nuova Asl Sudest – precisa -. Il territorio maremmano è quello più esteso delle tre provincie e con la più bassa densità di popolazione oltre a soffrire di evidenti fragilità strutturali (non a caso abbiamo il più alto tasso di incidenti stradali e traumatismi). I dati statistici dell’ARS parlano chiaro: Grosseto ha una salute peggiore della media toscana soprattutto nelle zone periferiche; la natalità più bassa, l’indice di invecchiamento più alto, i peggiori indici socio economici, la più alta percentuale di sovrappeso nei bambini, la peggior speranza di vita alla nascita e la più alta mortalità generale ed in particolare legata ai tumori».
«Questi dati di per se dovrebbero essere indicatori sufficienti per porre particolare attenzione alla nostra terra – continua l’Ipasvi -. La Regione Toscana del resto parla chiaro: il territorio nelle sue diramazioni organizzative e funzionali diventerà un punto cardine della salute della popolazione attraverso zone distretto forti. Un modello che sposa questa filosofia sanitaria pone la salute in una rete integrata e trasversale che trova applicazione in tutte le politiche: sociali, educative, industriali, lavorative, economiche. La salute come elemento contenitore di tanti fattori diversi che concorrono ad un benessere non solo fisico ma anche economico, culturale, sociale, psichico. Un modello che deve rafforzare tutti i processi di prevenzione primaria e secondaria e che deve trovare forti ed importanti alleanze, mai così forti come nel nostro frastagliato e debole territorio, con le politiche territoriali. Ma per realizzare tutto questo ha bisogno di investimenti e di attenzione a partire da un adeguato numero di professionisti e professionalità e progetti di ampio respiro che devono diversificarsi sulle specifiche caratteristiche territoriali e non omologarsi».
«In questa fase ancora non sappiamo come saranno ridimensionate le zone distretto – precisa il collegio degli infermieri -, ma la forte preoccupazione è che la Maremma sia ancora una volta penalizzata. Intanto sembra che tutto il top management strategico della attuale Asl sudest sia allocato ben lontano dal nostro capoluogo. Una terra la nostra che ha già pagato con la prossima chiusura della centrale operativa del 118 per fare un esempio su tutti. Una scelta che proprio in virtù della complessità del territorio ha fatto innalzare più di un sopracciglio. Una terra la nostra che ha prodotto elementi innovativi esportati ed esportabili in tutta Italia come il see & treat pediatrico e adulto, il codice rosa, la chirurgia robotica. Che ha imbastito un modello organizzativo per intensità di cura e case management rispondente alle indicazioni della Legge Regionale 40 come nessun altro ha fatto. Chiediamo quindi ai decisori politici di posizionarsi in maniera chiara aperta e trasparente. Cosa intendono fare per garantire la protezione sociale e sanitaria che la nostra Maremma merita?»
«Non vogliamo entrare nel gioco dei “numeri” delle zone distretto ed alimentare una strumentalizzazione sullo status quo. Certo è che staremo a vedere con quale logica saranno ridimensionate tutte le zone distretto della ASL SUDEST e non ci stupiremo se ancora una volta la Maremma avrà l’esito più sfavorevole. Perché al di là della ristrutturazione noi vogliamo partire dai bisogni di salute della popolazione. Ed i bisogni in Maremma sono sempre più complessi e necessitano quindi di risposte più forti e rassicuranti. Auspichiamo che prevalga davvero una logica di distribuzione dei livelli decisionali che risponda alle reali esigenze dei territori e che – concludono – si abbia il coraggio di partire con modelli che devono favorire per primi i territori con i bisogni di salute più importanti e non favorire invece logiche di prossimità manageriali».