FIRENZE – Trattare solo i casi più gravi di epatite C non garantisce l’eradicazione della malattia. Lo stabilisce uno studio condotto da cinque docenti e ricercatori dell’Università di Tor Vergata, Roma, riportato da Quotidiano Sanità . “Questo autorevole studio – sottolinea il presidente Enrico Rossi – è una conferma della bontà della scelta compiuta dalla Toscana di trattare con il farmaco anti-epatite C tutti i 26.000 malati toscani, e ci conforta nella decisione di andare avanti su questa strada. Anche i sistemi sanitari dei principali Paesi europei stanno rivedendo le proprie strategie in questo senso. Tra l’altro, anche i modelli numerici elaborati dai ricercatori di Tor Vergata sono perfettamente sovrapponibili ai dati toscani finora forniti da noi”.
Il modello elaborato dall’Università di Tor Vergata stima che oggi in Italia ci siano quasi un milione (998.000) casi di HCV, di cui meno della metà (435.000, il 45%) noti al sistema sanitario. Oltre il 50% dei casi sono nel Sud Italia. La scelta (adottata da Aifa e Ministero della salute) di trattare solo i pazienti più gravi – evidenzia lo studio – significa trattare per oltre il 64% over 75 e per oltre il 33% over 60, lasciando fuori i pazienti più giovani, con tutte le ovvie conseguenze del caso in termini di beneficio per la società. In Italia, a differenza di altri paesi occidentali in cui l’epatite C è conseguenza soprattutto della tossicodipendenza, le infezioni da HCV sono soprattutto il prodotto della carenza/impossibilità di controlli e prevenzione degli anni ’50-’60.
L’eradicazione della patologia – dicono gli studiosi di Tor Vergata – potrebbe essere un obiettivo a 5 anni, immaginando uno screening di massa svolto in 5 anni, in grado di far emergere almeno il 70% della casistica ad oggi misconosciuta. E aggiungono: “Sicuramente la strategia finalizzata al trattamento dei soli casi più gravi non è in grado di garantire l’eradicazione della patologia”.
“Fa piacere che i più alti livelli scientifici e accademici confermino la bontà delle nostre scelte – dichiara Enrico Rossi – Non poteva essere diversamente, perché la nostra proposta nasce dalla richiesta dei professionisti toscani. Forte anche dei risultati di questo studio, la Toscana continuerà a perseguire l’obiettivo di curare tutti i cittadini affetti da epatite C. Voglio ancora sottolineare – aggiunge – che l’unico interesse che ci muove è quello di tutelare la salute dei nostri cittadini, garantendo a tutti quelli che ne hanno bisogno cure efficaci e sicure. E quando si opera avendo come primo obiettivo la salute dei cittadini, raramente si sbaglia”.
“Sono convinto – conclude Rossi – che a fronte di un ricorso di un paziente escluso dall’erogazione del farmaco anti-epatite C, ricorso che avrebbe esito scontato, ci troveremmo davanti a una débâcle politica dello Stato. Chi si occupa di cose pubbliche ha il dovere di provvvedere e prevedere, e a chi ritiene che la prevenzione non rientri tra le prerogative della politica e dell’amministrazione, rispondo che questo argomento non solo è capzioso, ma che fa semplicemente sorridere”.
Leggi l’articolo sullo studio dell’Università Tor Vergata, su Quotidiano sanità