Continua il viaggio a Cipro del lettore Giulio Gasperini nella rubrica de IlGiunco.net Capo Nord, per tutti coloro che amano viaggiare e confrontarsi con differenti culture, odori, sapori e le tante differenti opportunità che offre il mondo.
Cipro il paese diviso
Check point per andare da una parte all’altra dell’isola. Fino al 2003 i greco ciprioti non potevano attraversare la cosiddetta “linea verde”; e i turco ciprioti neanche. Risultato? Tutto già visto e sentito: famiglie dilaniate, amicizie spezzate, proprietà devastate. La fine di una nazione. Il primo check point pedonale, quello di Nicosia (nella foto sotto), venne aperto solo nel 2008. Dalla postazione della polizia greco-cipriota si passa per una terra di nessuno, con case e costruzioni lasciate al loro destino di nulla, e si arriva poi al check point turco, dove controllano chi sei, il numero del tuo documento, la ragione per cui passi dall’altra parte.
E ti si aprono le ricchezze di una Nicosia che spartisce la sua storia e i suoi monumenti come fossero gli schieramenti di due eserciti. Nella Nicosia del Sud, quella greca, impossibile non esplorare le stanze del Museo Bizantino, voluto dall’arcivescovo Makarios, che raccoglie icone di notevole valore e bellezza, e decisamente un peccato imperdonabile non visitare il Museo archeologico che, seppur non vasto, ospita importantissimi resti dalle prime statuette antropomorfe alla deliziosa Afrodite di Soloi. D’obbligo anche una passeggiata sulle mura veneziane, che ancora proteggono il centro storico con i suoi undici bastioni. La Nicosia del Nord, quella turca, invece, nasconde capolavori ancora più spettacolari, con la sorpresa che solo la Storia, con le sue trame e i suoi stravolgimenti, riesce a provocarvi. Tra questi, la Cattedrale di Santa Sofia, diventata poi moschea, la Selimiye Cami, che conserva le armoniose linee del gotico francese ma l’interno ne viene raddoppiato, quasi lanciato all’infinito, dalla totale mancanza di rappresentazioni e orpelli, tipici della religione musulmana, e da un’intonacatura bianca che aumenta il respiro. Le due torri campanarie oggi sono mozze e sostituite da due agili minareti, che si lanciano nell’azzurro. Poco lontano, l’antichissimo caravanserraglio, il Büyük Han, luogo fondamentale per l’antica socialità ottomana, con i suoi negozi e le sue camere dove trovare ristoro e riposo per il cammino.
Anche il terzo giorno si supera un check point. Da Limassol a Famagosta, quella che si rivelerà essere la più bella città di Cipro. Fu anche l’ultima roccaforte veneziana a cadere nelle mani degli ottomani, alla fine del ‘500, dopo lungo assedio. Avvenimenti di sangue e di crudeltà spietata si raccontano intorno a quest’evento, di cui ancora oggi la città ne porta le tracce, come la colonna alla quale, secondo tradizione, fu legato il comandante veneziano Marcantonio Bragadin e scuoiato vivo. Oggi Famagosta è una sonnolenta città portuale, che ha perso molto della sua importanza dopo l’invasione turca del 1974. Porta i segni, indelebili, della dominazione francese e veneziana: le mura, più imponenti di quelle di Nicosia, e tra i torrioni la famosa Torre di Otello; la Cattedrale di San Nicola, oggi Moschea di Lala Mustafa Paşa Cami, dove si sposò la leggendaria regina di Cipro, Caterina Cornaro, e dalla quale la regina partirà verso Venezia, abdicando al suo governo sull’isola, nel 1489; la mole di San Giorgio dei Greci, le cui navate, franate in verticalità, sono diventate un prato.
Nei dintorni di Famagosta si respira l’età antica. Salamis (foto sopra), un’antichissima città stato del VII secolo a.C., conserva tracce imponenti del suo passato potente: un teatro che volge le spalle al mare e ancora viene utilizzato; poco lontano i resti dello stadio e le più ben evidenti tracce del gymnasium e delle enormi terme. Poi, con un salto di secoli, si visita il Monastero dell’Apostolo Barnaba, santo che evangelizzò l’isola, e poco più lontano la sua tomba. Fu grazie a lui, si racconta, che la Chiesa ortodossa di Cipro ottenne l’autonomia rispetto a qualsiasi patriarca, sia greco che russo. Da qui in avanti, lungo tutta la penisola che più si volge a oriente, fino al Capo Sant’Andrea, cominciano una serie di spiagge, ritenute le più belle dell’isola, alle quali l’isolamento dello stato fantasma di Cipro del Nord ha forse regalato ancora un po’ di naturale salute.
Tornando indietro, capita di passare difronte a Varosia. Varosia è il quartiere dei greco ciprioti di Famagosta. Piuttosto, fu. Oggi quel che rimane è un’agghiacciante città fantasma, chiusa in metri di rete e filo spinato e soffocata da piante e fichi d’India, che si sono impadroniti di quelli che una volta furono cortili e giardini. Fu, perché oggi Varosia è completamente disabitata, testimonianza feroce di quel che possono fare l’incapacità e la stupidità umane. La Storia racconta che fu un generale inglese, presa una cartina di Cipro, a tracciare una linea verde, per segnare le due zone di influenza sull’isola, tra turchi e greci. Varosia, però, non era stata compresa nella parte turca e sarebbe dovuta rimanere ai greco-ciprioti: qui lavoravano nei circa trenta alberghi che rendevano Famagosta, a quel tempo, la capitale del turismo. Ma i turchi non rispettarono gli accordi e nel 1974 si affondarono ben oltre la linea verde. Gli abitanti di Varosia, informati dell’avanzata dell’esercito, se ne andarono precipitosamente, abbandonando le loro case. Si dice che le lampadine siano rimaste accese per settimane, fino a esaurirsi, e che tutt’oggi ci siano i tavoli lasciati apparecchiati per una fuga così inattesa e irreversibile. Oggi, è un pezzo di Cipro ancora deserto, lasciato così forse come monito forse come ostaggio forse come rimorso. Raccontarlo è ben diverso dal vederlo: la vista di queste case getta un’ombra di profonda angoscia, di ansia, di precarietà esistenziale. Tutto, a Varosia, è fermo a quarant’anni fa, anche se si può soltanto gettare una svelta occhiata per cogliere qualcosa. Minacciosi cartelli, infatti, ribadiscono (e un po’ spaventano) che nella zona è assolutamente proibito entrare e che non si possono scattare foto (foto sotto).
Ma il dolore del presente è sublimato dalla visione del ritorno: un tramonto potente, che tinge il cielo di un arancio senza limiti, un colore che sfuma e abbraccia tutti gli orizzonti. Siamo al Lago Salato di Larnaca, dove svernano i fenicotteri rosa, in questo ultimo lembo d’Europa (politica, più che geografica). Laggiù sembra un incendio, ma senza paura, senza rumore. Pare quasi che il sole sappia che l’oriente, qua, è un po’ più vicino, e se ne senta sollevato. Non ci si può non fermare, scattare qualche foto, sentendosi un po’ troppo turisti, ma consapevoli che questo cielo, che questo sole, appartengono solo a Cipro.
L’ultimo giorno trascorre nel sud, lungo la strada costiera da Limassol a Pafos, luogo più ricco di antiche vestigia classiche. Una serie di sorprese, quasi un percorso a tappe di meraviglia. Si comincia con i vastissimi scavi di Kourion, un’altra antica città stato, che si estendono su una collina a picco sul mare; dove tira un vento dolce, un balsamo al caldo che, seppur marzo, morde. C’è un anfiteatro, c’è la villa immensa di un uomo di nome Eustolio, che fu cristiano e fu probabilmente mecenate attento. C’è un immensa basilica paleocristiana, sul punto più alto della collina, e l’emozione degli scavi un po’ si dimentica per l’emozione della vista su tanti azzurri.
Ma le sorprese non sono finite, perché Pafos ha tanti gioielli da schiudere. A cominciare dal sito archeologico che conserva al suo interno mosaici mozzafiato: la Casa di Dioniso, la Villa di Teseo e la più piccola Casa di Aion. Opere d’arte sorprendenti, frutto di una cura e di un’attenzione artistica che anche i padroni di casa possedevano e amavano ostentare ai loro ospiti, senza dimenticare che tutto sommato da quei mosaici c’era anche molto da imparare per vivere bene. Il Forte, invece, sulla marina, è più dimesso, più tranquillo. Oramai abbandonato, testimonia il susseguirsi delle dominazioni che si sono contese Cipro e la sua posizione strategica: tutti lo hanno manipolato ma lui solo, alla fine, è rimasto a guardia, controllando le rotte e gli approdi, forse attendendo un nuovo nemico.
Passeggiando sul lungo mare di Pafos, nell’ultimo giorno, stendendosi su un pontile di legno, lontano dai passi altrui, ti rendi conto che il mare che si stende davanti, il cui azzurro intenso si miscela, laggiù, al celeste più lieve del cielo, è il Mediterraneo. Lo stesso mare che abbraccia infiniti orizzonti; un luogo (e un’entità) di tangenze che ci rende tutti un po’ familiari, figli di una stessa prospettiva.
E proprio il mare è una ricchezza, e anche una vocazione. Ma è anche una santità, per Cipro. Un enorme masso domina la spiaggetta di ciottoli di Petra Tou Romiou, sulla strada costiera per salire a Pafos. La mitologia greca vuole che proprio nel punto indicato da quella enorme pietra sia nata Afrodite, la dea della Bellezza, direttamente dalla spuma del mare fecondata. E la mente ritorna ai ricordi scolastici, a una poesia di Foscolo: “Zacinto mia, che te specchi nell’onde / del greco mar da cui vergine nacque / Venere, e fea quelle isole feconde / col suo primo sorriso”. La Bellezza è nata, in qualche altrove. È evidente. Cipro ne vanta il luogo. Bisognerebbe solo servirsene per, come sentenzia in eterno il principe Miškin, salvare il nostro mondo.