GROSSETO – Il tumore ovarico è ancora uno dei big killers tra le neoplasie ginecologiche ed occupa il decimo posto tra tutti i tumori femminili (3%).
Le proiezioni del data center Wocd – World Ovarian Cancer Coalition prevedono, entro il 2050, un incremento dell’incidenza del tumore ovarico del 55% e della mortalità di quasi il 70% a livello mondiale e gli aumenti maggiori riguarderanno soprattutto i Paesi a basso reddito. Sono i dati con cui si apre l’edizione 2024 della Giornata mondiale sul tumore ovarico che si celebra in tutto il mondo l’8 maggio.
L’incidenza più bassa è prevista per l’Europa con un 8,8% che testimonia come i progressi della ricerca scientifica e della medicina unite alla presenza di servizi sanitari universali siano in grado di tenere sotto controllo la crescita dell’incidenza che assume il valore più alto (+131,9%) in Africa. Le previsioni a livello mondiale parlano anche per il 2050 di un incremento percentuale della mortalità (con valori più alti in Africa) e con l’Europa al +19,2%.
Nel 2022 sono state 6 mila le nuove diagnosi di tumore ovarico in Italia e 3.600 decessi. La sopravvivenza netta a 5 anni dalla diagnosi è del 40% circa
«Nella popolazione femminile il rischio di sviluppare un tumore ovarico è piuttosto basso (1,8%) e questo rischio aumenta o diminuisce in presenza di precisi fattori – spiega la dottoressa Ilaria Pastina, sostituto direttore Uoc Oncologia medica Ospedale di Grosseto –. È un tumore che colpisce maggiormente donne in menopausa, tra i 50 e 69 anni. Tuttavia alcuni tipi di tumore dell’ovaio possono presentarsi anche in donne più giovani come ad esempio quelli associati a sindromi eredofamiliari. Fra i fattori che aumentano il rischio di tumore ovarico un menarca precoce, chi non ha avuto gravidanze o una prima gravidanza in età tardiva, menopausa in età avanzata. Anche uno stile di vita non corretto (obesità, fumo di sigaretta, sedentarietà) o l’esposizione a sostanze come l’amianto sono fattori di rischio. Il rischio di sviluppare un tumore ovarico è altresì più alto nelle donne che hanno ereditato specifiche mutazioni genetiche come i geni Brca 1 e Brca 2. La mortalità associata al tumore ovarico è ancora elevata ed attribuibile a molti fattori tra cui una sintomatologia aspecifica e tardiva e l’assenza di strategie di screening validate che consentano di effettuare una diagnosi precoce, eccetto che per le donne con alterazioni genetiche».
Ma di quali numeri parliamo? E quali sono i sintomi da attenzionare?
«Il tumore ovarico rientra tra i primi dieci tumori femminili in termini di frequenza – spiegano la dottoressa Rita Puzzuoli e il dottor Massimo Gabbanini, attuale sostituto direttore Uoc Ginecologia ed Ostetricia Ospedale Misericordia Grosseto -. Le stime indicano circa 4800 nuovi casi diagnosticati ogni anno in Italia. Nel territorio grossetano i numeri parlano di 150 casi nell’arco di 10 anni, circa una nuova diagnosi al mese. Per la prima volta a livello mondiale abbiamo assistito ad un calo dell’incidenza, grazie alla maggiore conoscenza dei fattori di rischio associati, fra cui la genetica. Anche la mortalità è in calo e questo lo dobbiamo sicuramente ai progressi terapeutici in ambito chirurgico e farmacologico ma anche alla multidisciplinarietà, ovvero la capacità di lavorare in team, offrendo approcci sempre più personalizzati alla singola paziente».
«Le previsioni mondiali ci dicono però – proseguono Gabbanini e Puzzuoli – che dobbiamo investire ancora di più su questa patologia non semplice da diagnosticare nelle fasi iniziali. Il tumore dell’ovaio, infatti presenta sintomi spesso comuni ad altre patologie, come la sindrome del colon irritabile e quindi spesso non attenzionati. Per una diagnosi precoce è molto importante imparare a riconoscere i primi segnali di allarme quali gonfiore persistente dell’addome, fitte addominali, bisogno frequente di urinare, inappetenza e/o sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, perdite ematiche vaginali, mutamenti nelle abitudini intestinali (stitichezza o diarrea). Se questi sintomi non si sono mai verificati prima e si presentano insieme, o in rapida sequenza, per più di 12-15 giorni al mese e per più di due o tre mesi consecutivi, è consigliabile rivolgersi al ginecologo, che attraverso l’ecografia pelvica o transvaginale potrà dare una prima importante indicazione diagnostica in combinazione ad un prelievo di sangue per l’esame dei marcatori tumorali».
Cosa fare dunque per prevenirlo? «Per il tumore ovarico purtroppo non esiste ancora uno screening, ovvero uno strumento di diagnosi precoce – chiarisce la dottoressa Roberta Di Rocco dirigente medico Uoc Oncologia medica Ospedale di Grosseto – e questo, in aggiunta alla tipologia e alla tempistica di comparsa dei sintomi, fa sì che nell’80% dei casi la diagnosi venga effettuata in stadio ormai avanzato. Di contro abbiamo uno strumento di prevenzione primaria che riduce il rischio, quasi azzerandolo, di incorrere in un tumore dell’ovaio, ovvero riscontrare la presenza di mutazioni a carico di geni di predisposizione come i geni Brca 1 e Brca 2».
«Queste donne possono essere intercettate nell’ambito di un percorso di consulenza genetica e inserite in un percorso personalizzato di chirurgia profilattica – conclude Di Rocco -. L’informazione sull’eventuale presenza della mutazione ha, inoltre, un risvolto terapeutico di estrema importanza in donne che purtroppo hanno già sviluppato il tumore. La presenza di alterazioni a carico dei due geni, da ricercare in tutte le donne al momento della diagnosi, aumenta la sensibilità alla chemioterapia in particolare a base di platinanti e ad altri agenti target, gli inibitori dell’enzima Parp, che stanno rivoluzionando la prognosi di questo tumore, permettendone la cronicizzazione, in alcuni casi anche la guarigione».