GROSSETO – Se avesse intravisto un futuro migliore nel suo Paese, Jawad, classe 1986, probabilmente non avrebbe mai lasciato il Marocco. Come capita però anche a tanti italiani, l’offerta di condizioni economiche migliori e la speranza di un futuro più vicino ai propri desideri, lo hanno spinto a partire da casa alla ricerca di un lavoro. Quello che quindi alcuni si ostinano ancora a chiamare “sostituzione etnica” per Jawad e per tanti come lui, ha sempre e solo avuto un nome più semplice: Speranza.
Partito nel 2012 da Casablanca, dopo una tappa in Turchia come turista, Jawad ha approfittato dell’appoggio di un amico a Creta per lavorare lì. Le sue mani hanno operato nelle campagne dell’isola per circa 3 anni e mezzo. Poi la chiamata per l’Italia. «Creta è una bellissima isola, si stava bene, avevo a disposizione anche vitto e alloggio ma era difficile la regolarizzazione – dice Jawad – Mi invitarono a venire in Italia con la promessa di un lavoro regolare, guadagno e un permesso di soggiorno».
Così Jawad, che da quando è partito ha sempre cercato di mandare qualche euro ai genitori in Marocco, ha raccolto quello che aveva con sé e attraversato in pullman i Balcani. Arrivato in treno a Roma, il clima che trovò era molto lontano da quello dell’oasi di pace che gli avevano raccontato. «Quelli che si dicevano amici, quelli che dicevano che c’era un lavoro per me, non erano che approfittatori e l’unica opportunità di guadagno che mi proposero era quella di delinquere per vivere», ricorda Jawad.
Lasciate da parte le cattive compagnie, Jawad ha provato comunque a guardare avanti. «Mi sono messo a cercare un lavoro e una regolarizzazione vera. Cadere nel baratro è fin troppo facile – racconta – Si deve essere forti e se cadi e non ti rialzi ma continui a strisciare, allora non è vita».
«Lavoravo 20 giorni e nella busta paga ne trovavo segnati 3»
Jawad allora ha alzato la testa, credendo in un futuro diverso. Si aspettava che la situazione non potesse che migliorare, ma non sapeva cosa sarebbe arrivato dopo. «Dopo alcuni mesi di lavoro la ditta edile dove ero impiegato è fallita – racconta – sono stato contattato per un lavoro nel grossetano. Qui ho lavorato circa 6 mesi come muratore per un’azienda che mi forniva vitto e alloggio ma non pagava, dovevo sempre aspettare mesi e mesi per vedere qualche euro. Lavoravo 20 giorni e in busta paga me ne trovavo segnati 3. E non ero l’unico che veniva trattato così».
Senza proseguire nel prestare il fianco a degli sfruttatori, Jawad ha cercato un nuovo lavoro con l’aiuto della Cgil Grosseto. «Da settembre 2023 ho un contratto a tempo indeterminato con un’azienda edile di Grosseto. Sono entrato insieme a un italiano, lui però dopo qualche settimana ha lasciato e io sono rimasto – racconta con una punta di orgoglio Jawad – Spero abbia trovato altro. Io sono contento di essere stato accolto così, voglio lavorare e fare bene, ho davvero bisogno di lavoro. Lo faccio anche per mia figlia, che ha 5 anni e che amo con tutto il mio cuore».
Il lavoro, per Jawad, ha il valore del riscatto totale, ha il sapore della realizzazione e il colore trasparente della legalità. Ora, tra i sogni da realizzare c’è quello di riabbracciare i suoi genitori, che non vede da 10 anni. Ancora vivi, nei suoi occhi, i festeggiamenti del 1° maggio in piazza con suo babbo. «Non torno da tanto in Marocco, cerco sempre di mandare qualche soldo ai miei genitori e sanno tutto quello che è successo. Ma prima di tornare voglio mettere a posto tutto – conclude Jawad – sto aspettando il permesso di soggiorno valido due anni. Mi chiedo ancora come alcuni che vivono nell’illegalità non abbiano problemi con i permessi e io no, ma lo attendo fiducioso. Sto cercando una sistemazione più stabile e appena sarà possibile tornerò a fare visita a casa, li voglio tanto riabbracciare».
Anna Capobussi (Fillea Cgil): «Non è un caso isolato, serve formazione e inserimento lavorativo immediato»
Quanto successo a Jawad non è un caso isolato, e la Cgil lo sa bene. «Questa storia non è un esempio estremo – dice Anna Capobussi, segretaria Fillea Cgil con delega alla legalità – Ma è quello che capita a tanti lavoratori stranieri che emigrano in cerca di condizioni lavorative e di vita migliori. Un fenomeno che avviene in perfetta similitudine a quanto accadeva agli italiani nel secolo scorso. Ma anche a quello che accade tutt’oggi con i cosiddetti “cervelli in fuga”».
L’Italia ha bisogno di circa oltre 534mila lavoratori per coprire il fabbisogno di manodopera del mercato interno. «Di questi almeno 80mila sono da individuare tra i lavoratori stranieri che non sono ad oggi disponibili nel suolo italiano – precisa Capobussi – Tra i settori che sono più sguarniti ci sono l’edilizia, il commercio e l’agricoltura. È un grosso limite che questa legislazione non permetta, in un periodo di così grave carenza di manodopera per le aziende, il reclutamento di personale che è già presente nel nostro paese».
Per chi arriva in Italia è necessario trovare percorsi di inserimento lavorativo. «Specialmente per gli ospiti dei CAS, l’inserimento lavorativo immediato è necessario, anche per assicurarli da subito alla legalità – prosegue Capobussi – per raggiungere questo e altri obiettivi la CGIL è presente in diversi tavoli della prefettura. Attivando tavoli permanenti e non occasionali si possono realizzare anche percorsi di formazione professionale e sinergie tra istituzioni e associazioni di categoria durature ed efficaci. Senza dimenticare che tutto questo ha comunque bisogno del supporto legislativo da parte dello Stato».
«Gli ospiti dei CAS sono nel mirino di attività illecite»
L’inserimento lavorativo passa in primo luogo dalla conoscenza della lingua. « Ci risulta infatti, come sindacato, che gli ospiti dei CAS siano nel mirino di attività illecite e facilmente soggetti allo sfruttamento del caporalato – sottolinea Capobussi – L’insegnamento della lingua italiana dovrebbe essere il primo corso da realizzare e garantire a tutti i migranti presenti su suolo italiano. La mancata conoscenza dell’italiano, infatti, favorisce l’avvicinamento di persone che, parlando nella madrelingua del migrante, gli promettono facili guadagni e miraggi. Queste, in accordo o in società con aziende italiane, intendono solo sfruttare chi arriva in Italia».
«Teniamo sempre presente che i migranti spesso devono mandare a casa soldi che servono a ripagare debiti contratti per poter arrivare nei paesi europei – dice Capobussi – Hanno bisogno di soldi e offrire loro lavoro e legalità significa aiutare loro ma anche l’Italia»
«Il primo maggio ci ricorda che il lavoro è garanzia di dignità – conclude Capobussi – L’articolo 1 della Costituzione della Repubblica democratica Italiana parla di un Paese fondato sul lavoro. In assenza di questo bene primario, perde valore la nostra democrazia e il sistema repubblicano, in quanto è proprio il lavoro a costituirne le fondamenta. Sulla base di questo presupposto la Cgil sta raccogliendo le firme per un referendum abrogativo di leggi che inficiano la dignità del lavoro, promuovendo allo stesso tempo maggiore sicurezza e stabilità lavorativa anche per le generazioni del domani».