GROSSETO – Nella puntata della scorsa domenica di “Indovina chi viene a cena”, curata e condotta dalla giornalista d’inchiesta Sabrina Giannini, è andato in onda un servizio che ha fatto luce su una pratica moralmente e ambientalmente insostenibile: la pesca dei polpi con barattoli in plastica legati tra loro da lunghi cavi e posizionati a 30 metri dalla superficie del mare.
“Un metodo – commenta Legambiente – mutuato dalla Spagna che, per troppi anni, ha fatto somigliare i nostri fondali a un vero e proprio far west in cui la legge del più forte – e attrezzato – è l’unica vigente, mettendo a rischio ambiente e sopravvivenza della specie, sempre più minacciata proprio a causa della predazione continua e smisurata da parte dell’uomo. Nonostante qualche timido dispositivo di legge nel corso del tempo sia stato emanato, ancora oggi più di qualche pescatore prosegue indisturbato a svolgere questa pratica dannosa e violenta. Stando a quanto previsto dalle norme, ciascun pescatore, oggi, può detenere al massimo 1.250 barattoli con il compito di segnalarli con una boa e un numero che li collega alla sua imbarcazione. Una norma per lo più violata. Protagonista di questa reiterata violazione è anche l’arcipelago toscano, oggetto di un’operazione che ha visto il sequestro di molte boe abusive, posizionate dai bracconieri per la cattura illegale dei polpi. Grazie all’indagine giornalistica, all’operazione promossa dalla Guardia di Finanza e all’intervento di Sea Shepherd nel 2022 le cose sono cambiate, anche se i bracconieri hanno comunque tentato di evadere le leggi, togliendo la segnalazione con le boe e lasciando indisturbati i barattoli sul fondale. Una pratica che non può che essere combattuta con un contrasto assiduo e mirato”.
“Quello che abbiamo visto – ha dichiarato Angelo Gentili della segreteria nazionale di Legambiente – deve essere punito. Oltre al danno ambientale ed ecosistemico perpetrato negli anni, a colpire è la violenza con cui i bracconieri catturano i polpi per trarne profitto. Ciò che è del mare deve essere restituito al mare e l’operazione della Guardia di Finanza in sinergia con l’equipaggio di Sea Shepherd non può che trovare in noi i primi sostenitori. Serve rendere la questione anche culturale. I pescatori onesti hanno pienamente compreso il problema e hanno capito che questo tipo di pesca non farà altro che contribuire alla distruzione del prodotto ittico di cui tanto vanno cercando i bracconieri. Grazie al contributo di alcuni, infatti, è stato possibile addirittura organizzare una mappatura dei dispositivi per la pesca del polpo considerati regolari”.
“La bonifica a oggi riguarda la zona che va da Punta Ala a Porto Santo Stefano. Chi ha commesso gli illeciti riceverà una sanzione amministrativa. Per una procedura penale servirebbe trovarsi in un’area marina protetta. Istituirla a partire dai monti dell’Uccellina, affidandone la gestione al Parco della Maremma – che estenderebbe in tal modo la sua tutela anche al mare, favorendo pesca e turismo sostenibili – significherebbe contribuire considerevolmente alla conservazione dell’ecosistema marino di fronte al perimetro costiero del Parco. Che le sole sanzioni non siano sufficienti a far cambiare rotta all’illegalità è cosa tristemente nota. Pare infatti, purtroppo, che i bracconieri si siano già attrezzati con soluzioni invisibili e rintracciabili con localizzatori. L’auspicio è che il ministro Lollobrigida se ne faccia carico presto e bene, aumentando i controlli da parte di istituzioni e organismi competenti”.