ALBERESE – Si va dalla misurazione del rumore delle api al diploma di erborista. Sono solo alcune delle richieste che si è sentita fare un’imprenditrice che vorrebbe aprire una sua azienda. È la stessa Raffaella Viero a raccontare la burocrazia che si è trovata ad affrontare e che non le ha consentito (ancora) di realizzare appieno il proprio sogno lavorativo (la donna è riuscita comunque, con molte difficoltà, ad aprire un proprio laboratorio).
«Il 14 dicembre 2023 è iniziata la mia avventura tra uffici, moduli, leggi, norme e regolamenti, enti pubblici e associazioni di categoria. Premetto che non c’è nessuna volontà di lanciare accuse o di ricerca di un qualche colpevole, ma solo una volontà di evidenziare i punti critici di un modus operandi degli enti pubblici, e non solo, che al giorno d’oggi risulta essere obsoleto, inefficiente e creatore di problemi generati e scaricati sulle imprese nonché/già cittadini».
«Nella data sopra citata ho presentato una domanda al Suap (sportello unico attività produttive), tramite l’associazione di categoria Cia (Confedarazione Italiana Agricoltori) di Grosseto, di apertura di un laboratorio agricolo/alimentare per la trasformazione e confezionamento di erbe e miele, provenienti dalla mia azienda agricola Terrarossa di Viero Raffaella sita in località podere Sasso Rosso, Alberese» prosegue l’imprenditrice.
«Questa domanda ha generato due richieste, da parte del Suap, di adeguamento/conformità. La prima, legata alla trasformazione e confezionamento di erbe che, basandosi su una legge Regionale del 2000, prevedeva di esibire un diploma da erborista per poter esercitare la mia professione agricola/alimentare. Ciò ha significato, per me, un primo rallentamento dell’attività. Successivamente, la Fippo (Federazione Italiana Produttori Piante Officinali) nello specifico l’agronoma Valentina Fuoco e il presidente dell’associazione Andrea Primavera (che ringrazio pubblicamente per il supporto concreto che mi hanno dato), ha risposto per mio conto, al Comune di Grosseto. La risposta conteneva tutti gli aggiornamenti legislativi in materia, ai quali il SUAP era tenuto ad attenersi e che per il ruolo che esercita ci si sarebbe aspettato, che conoscesse o che fosse aggiornato in materia».
«In risposta il Comune si è preso altri 30 giorni per confrontarsi con la Regione. Mi ha stupito molto la leggerezza con cui un responsabile dell’ufficio del SUAP ha sottolineato il fatto che io avrei potuto fare ricorso, come se fare ricorso fosse una pratica indolore e senza costi. Non solo è anche una pratica che si sostiusce al buon senso e alla competenza degli Enti Pubblici, e chiede in ultima analisi a dei giudici di decidere su cose che si risolverebbero conoscendo e applicando le leggi esistenti. Alla fine , su questa pratica, mi hanno dato ragione» precisa Raffaella Viero.
«La seconda richiesta, questa volta, ha previsto il dover ripresentare al SUAP la domanda per esercitare l’attività produttiva di Apicoltura, allegandole anche, la relazione acustica, redatta da un tecnico di impatto acustico, dell’unica arnia che ho in campo. Nonostante il mio colloquio con il funzionario dell’ufficio ambiente, la questione assurda di dover misurare il rumore delle api in mezzo ad un campo, è stata risolvibile solo assumendo, da parte mia, un tecnico, e presentando nuovamente la domanda con questi allegati. L’assurdità deriva da una legge nazionale del 2011 sull’impatto acustico, che prevede un’autodichiarazione per tutte le attività presenti in un allegato, che sono 47 e di queste 47 non ce n’è nessuna agricola. Le assurdità continuano quando: un Comune applica tout cour una legge, una Regione non si interroga sul proprio territorio a vocazione agricola, le associazioni di categoria degli agricoltori e degli apicoltori non si preoccupano di avere un dialogo insistente con gli Enti pubblici, per trovare una soluzione ad una legge nazionale e quindi generale, che non può tenere conto delle particolarità regionali. Forse anche la categoria dei tecnici potrebbe pensare di rifiutarsi di essere usati per misurare il rumore in natura delle api. Ciò potrebbe, ma è solo una mia modesta idea, farlo, se non lo ha già fatto, l’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana».
«Di sicuro tutto ciò, per me, ha comportato un danno economico, in quanto ho dovuto fermarmi con l’ordinazione delle erbe e quindi con la programmazione agricola primaverile. In agricoltura, molti sanno che non si va dal vivaista e si ordinano 10.000 piantine e seduta stante te le forniscono; l’agricoltura è fatta di programmazione semestrale o annuale. Ho dovuto stoppare l’aggiornamento del mio sito, che mi avrebbe permesso di vendere online i miei prodotti, perchè prevedeva un investimento economico, che io non mi sono sentita di fare prima di avere una conferma definitiva dal Comune. Senza parlare del danno per un’attività che non ho potuto promuovere con una pubblicità massiva di cui ha bisogno un’attività all’inizio» continua rammaricata.
«Ciò che mi ha stupita, e che sto incontrando sempre più frequentemente tra le persone che hanno una responsabilità dettata dal ruolo che ricoprono, è la totale mancanza di mettersi nei panni di chi gli sta di fronte e di cercare insieme una soluzione. La soluzione non può essere il ricorso ai tribunali e nemmeno l’assunzione di tecnici che devono dimostrare la qualsiasi, pur di togliere la responsabilità al personale degli Enti Pubblici. Questo è un sistema anacronistico, che impedisce alle aziende di lavorare e tratta i cittadini non come alleati per il buon funzionamento del Bene Comune ma come semplici individui su cui scaricare oneri e burocrazia. Mi auguro, che la mia esperienza serva a far riflettere sull’ inutile burocrazia e sugli inutili oneri che si potrebbero superare con le autocertificazioni, i controlli, la competenza, la comunicazione tra associazioni, imprese e personale degli Enti Pubblici. Questo è possibile solo se si pensa che le imprese siano utili al territorio».