GROSSETO – “Slogan e nomi roboanti non coprono tagli e scorciatoie formative, la scuola non si riforma a colpi di propaganda, ma con investimenti e proposte costruite con chi nella scuola lavora e ne conosce problemi e criticità. Parlano i numeri, impietosi”. Così dichiara Lucia Tosini, responsabile Cultura e Pubblica Istruzione della segreteria provinciale Pd.
“Aprile 2023, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con il placet degli alleati leghisti, annunciava la nascita del liceo del Made in Italy – afferma Tosini -. Febbraio 2024, il sito del ministero dell’Istruzione ne sancisce il flop: in tutta Italia sono 420 gli studenti che lo hanno scelto, ma malgrado l’evidenza il ministro Adolfo Urso proclama: ‘Un buon inizio per il liceo del Made in Italy, che potrà ulteriormente migliorare in quest’anno pilota’. Il liceo del Made in Italy era stato presentato dal Ministro Urso come ‘un percorso scolastico innovativo e strettamente orientato al mondo produttivo’, diretto ad integrare ‘discipline umanistiche e materie Stem (Scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), per valorizzare le eccellenze italiane, promuovendo la crescita sostenibile e il talento italiano, oltre a facilitare l’inserimento degli studenti nel mondo del lavoro creando un ponte tra istruzione e imprese”.
“Un messaggio evidentemente poco motivante per studenti e famiglie, che non possono essere biasimati, dato che di questo ‘percorso di eccellenza’ è dato conoscere solo le discipline del primo biennio, per i secondo biennio e ultimo anno, solo proclami – proseguono dal Pd -. Risultato: 420 iscrizioni a fronte di 92 licei ad indirizzo “Made in Italy” sinora approvati sul territorio nazionale. Ma con quali numeri apriranno queste prime 92 classi? Approssimativamente abbiamo una media di quattro/cinque alunni per classe. E allora o il Governo, tenendo conto del trend nazionale di nascite e delle molteplici aree interne e marginali di cui si compone il nostro territorio, si è finalmente deciso a rivedere i numeri minimi per formare una classe, o molte delle 92 prime del nuovo Liceo non apriranno nell’anno scolastico 2024/25”.
“Stesso flop ha registrato l’unico Liceo del Made in Italy richiesto in provincia di Grosseto, approvato dal Collegio docenti del Liceo Statale Rosmini, con un numero di pre-iscritti basso (solo dieci) pur potendo contare, in teoria, sul bacino di utenti dell’intero territorio provinciale – afferma Tosini -. Infine, ma non per importanza, si sarebbe sacrificato il Liceo delle Scienze Umane con opzione economico sociale, che invece continua ad avere e ha avuto grande consenso sul territorio nazionale, in crescita anche rispetto al Liceo Classico. Ancora una volta si fanno riforme della scuola senza alcuna consultazione né della base, che conosce dinamiche scolastiche e territoriali, né dei sindacati e delle istituzioni scolastiche: la logica conseguenza è che molti collegi docenti abbiano, giustamente, cassato l’attivazione del nuovo indirizzo”.
“Per dirla con Irene Manzi (Responsabile nazionale scuola del Pd): ‘il Ministro Valditara, invece di millantare un successo che non esiste, dovrebbe capire che le riforme vanno costruite con il mondo della scuola e non a prescindere da esso’. Il Made in Italy, come lo conosciamo oggi, è un marchio apprezzato in tutto il mondo, superato solo da Coca Cola e Visa, ma deve avere un forte legame col territorio, nel quale trova motivazione intrinseca, ma consultando il mondo della scuola si sarebbe capito che i cosiddetti “percorsi innovativi del Liceo del Made in Italy” sono già compresi nelle linee guida del “Tecnico Economico, indirizzo Amministrazione, Finanza e Marketing”, perfettamente in linea con il Pecup in uscita del ‘Tecnico Economico’”.
“Concludendo, con molta amarezza per la fine che la scuola sta facendo – dichiara Tosini -. Occorrerebbe sindacare la vera motivazione della riduzione degli investimenti pubblici in termini di personale docente e personale di laboratorio, che ha colpito in generale l’istruzione tecnica, per non parlare della scelta scellerata con cui il governo attuale con la recente riforma ha addirittura accorciato di un anno il percorso didattico, asservendo di fatto l’istruzione e la formazione alle ragioni dell’industria, forse la meno illuminata, che non necessita di cervelli pensanti, ma solo di manodopera da pagare con stipendi minimi”.