GROSSETO – «Il nuovo raffazzonato liceo, denominato come un marchio di origine di un paio di scarpe o di una cucina, il “Liceo del Made in Italy” è tecnicamente fallito». Ad affermarlo il sindacato Cobas in una nota.
«Solo dieci iscritti all’unico istituto maremmano che aveva attivato il liceo del Made in Italy, il liceo Rosmini, secondo quanto dichiarato agli organi di stampa. Questo fallimento i Cobas lo hanno auspicato e determinato in tutti i modi possibili. Non arriva, quindi, come una sorpresa. Poche scuole, infatti, hanno deciso di attivare la nuova offerta formativa: in tutta Italia, solo 92 sulle quasi 900 che avrebbero potuto farlo; e pochissimi studenti, esattamente 375, con una media di quattro per scuola, l’hanno scelta».
«Nonostante il nome anglofilo, l’impianto del Made in Italy si sviluppa all’interno di una visione autarchica e rigidamente identitaria della cultura e dell’educazione. Paradossalmente, mentre il governo Meloni svende pezzi di Italia (le vendita della rete Tim e del Monte dei Paschi sono i casi più eclatanti), la scuola deve diventare la cassa di risonanza per esaltare il tricolore italico nella produzione di merci che, come oggi sanno anche i bambini, ormai è legata al mercato globale. Così, in tutta fretta, sono stati varati i necessari provvedimenti legislativi. Siccome, però, il governo Meloni ha pensato a come organizzare le classiche nozze con i fichisecchi e non vi è alcuna intenzione di investire denaro nella scuola pubblica, l’ultima legge di bilancio ha previsto ulteriori tagli. Mentre la scuola italiana affonda anno dopo anno a causa di tagli al personale, classi pollaio, ridimensionamento delle istituzioni scolastiche, precariato cronico e il 60% degli edifici scolastici non a norma, il governo Meloni aveva pensato bene di lanciare un’anacronistica e velleitaria “battaglia del grano” nel mondo della scuola per risollevare le sorti e il prestigio di un presunto marchio nazionale».
«La battaglia del Made in Italy, così come la battaglia del grano, si è rivelata per quello che era: una scadente e pericolosa operazione di propaganda che avrebbe colpito duramente il mondo della scuola, cancellando posti di lavoro e imponendo una visione dell’educazione miope e asservita al potere economico e finanziario. Con le loro decisioni, dapprima la stragrande maggioranza dei collegi docenti (che hanno bocciato il Made in Italy) e poi le famiglie italiane, hanno ribadito che la scuola è, prima di tutto, un luogo di elaborazione critica dei saperi, di acquisizioni di strumenti cognitivi e culturali che permettono agli studenti di comprendere il presente e di cambiarlo, non certo di accettarlo supinamente e diventarne strumenti di propaganda. Seppure in maggioranza hanno scelto un liceo (che continuano a essere preferiti, totalizzando il 55,63% delle iscrizioni), hanno capito che questa scuola spacciata per liceo era solo una farsa. Si aggiunge che il tutto è stato deliberato in gran fretta dagli organi collegiali, sulla base di un piano di studi parziale (che indica solo le discipline previste per il primo biennio e non si sa che cosa accadrà nel triennio) e senza costi aggiuntivi».
«Pertanto, le scuole, come il Rosmini di Grosseto, che intendevano attivare una classe 1° del made in Italy, avrebbero dovuto rinunciare, allo stesso tempo, ad un numero corrispondente di classi prime del liceo delle scienze umane – opzione economico-sociale. Nonostante ciò, già tra Natale e Capodanno in tutta Italia alcuni dirigenti sono partiti, lancia in resta, con la convocazione di collegi docenti da tenersi al rientro delle vacanze; altri dirigenti, invece, hanno proposto improbabili quanto illegittime consultazioni online. Dirigenti più realisti del re, visto che la nota ministeriale non indicava per le scuole alcun obbligo, ma solo la possibilità di attivare il nuovo piano di studi. Deliberare la nascita di un nuovo indirizzo, in tutta fretta, avendo a disposizione solo il piano di studi del primo biennio, senza essere consapevoli delle conseguenze a lungo termine sul piano didattico-educativo e su quello dei posti di lavoro, non solo risultava poco serio e professionale, ma addirittura autolesionista, equivalente ad affidare alla dea bendata le scelte che andranno a determinare il profilo educativo di un indirizzo di studi e la soppressione di cattedre».
«Il collegio docenti del liceo Rosmini, tra le scuole di cui sopra, è stato riunito l’11 gennaio, ovvero pochi giorni prima che si chiudessero le iscrizioni. Il risultato è stato il flop di cui sopra. Raccomandiamo di evitare ogni “accanimento terapeutico”, raggranellando qualche iscrizione fuori tempo massimo. Una sorte simile al Made in Italy è toccata anche alla cosiddetta “filiera” tecnico-professionale (forse al ministero pensano che le scuole sfornino prodotti agro-industriali, invece che giovani) a percorso breve, con sole 1.669 iscrizioni per i 172 istituti in tutta Italia che hanno deciso di aderire alla sperimentazione, con una media di nove iscritti per ogni scuola».