GROSSETO – Benito Bromo era un giovane insegnate delle scuole medie quando Grosseto fu colpita dall’alluvione, il 4 novembre del 1966. È lui stesso a raccontare quella giornata, l’inizio, quasi normale, e il rocambolesco ritorno a casa su vari mezzi di fortuna.
Ecco il suo racconto:
Quella mattina di novembre mi recai a Campagnatico sede della scuola media dove insegnavo. Nel pomeriggio si teneva un consiglio di classe. Poiché l’Ombrone, ingrossato dalle abbondanti piogge, minacciava di uscire dagli argini, suggerii ai miei colleghi di sveltire la riunione perché, dissi loro, “l’Ombrone faceva paura”.
Al termine partii subito e con l’auto mi avviai verso Grosseto. Purtroppo, giunto ad una curva della strada che portava a Batignano, mi imbattei in una grande pozza d’acqua che bloccò la mia auto in mezzo alla strada.
Fu provvidenziale l’intervento di una pattuglia dei carabinieri. Con la loro auto mi trainarono fino ad un luogo sicuro dove poter lasciare il mezzo in panne. Grazie alla disponibile delle forze dell’ordine riuscii a raggiungere il bar di Batignano. Nel locale avevano trovato rifugio moltissime persone bisognose di riparo e di indumenti asciutti.
Ricordo che essendo arrivato tra gli ultimi non mi rimase altro che riscaldarmi con una bevanda calda consumata in piedi, addossato alla macchina del caffè il cui tepore mi dava un certo sollievo. Trascorsi la notte al riparo dalla pioggia, ma con i vestiti umidi, in condizioni psicologiche devastanti, anche dovute all’impossibilità di comunicare con la mia famiglia che non aveva mie notizie dal giorno precedente.
Nel pomeriggio riuscii a trovare un passaggio per Grosseto. Dopo pochi chilometri venimmo bloccati da un fiume d’acqua che attraversava la strada. Le auto 500 riuscivano ad avanzare, e approfittai di un passaggio per proseguire. Pensavo di essere ormai prossimo alla meta, ma giunto a Grosseto in piazza Volturno trovai un grande lago. L’acqua si frapponeva ancora tra me e la mia casa.
Con un canotto dei Vigili del fuoco, in continuo servizio di soccorso, raggiungevo l’inizio di via Oberdan e da lì, con un mio conoscente, occasionale compagno d’avventura/disavventura, che necessitava di ospitalità, proseguimmo a piedi verso casa di mia sorella. Finalmente qualcuno della mia famiglia poteva vedermi!
La mattina del terzo giorno non avendo ancora potuto dare mie notizie agli altri miei familiari salii sull’argine della ferrovia dove, in mezzo ad altre persone, gesticolando, riuscii a farmi notare da mio fratello e mia madre che abitavano in via Brigate Partigiane, zona in cui l’acqua era salita quasi a 4 metri di altezza.
La sera tardi riuscii, con stivaloni ai piedi, a raggiungere la mia abitazione. Potete capire la gioia soprattutto di mia madre.
Voglio chiudere questi ricordi con una nota importante: sono vivo grazie ad un’indicazione fatalmente non recepita. Prima di arrivare alla mia abitazione avevo incontrato delle persone che mi avevano indicato un percorso sicuro, in quanto l’acqua fangosa ed alta non permetteva di vedere il fondo stradale. Non avendo ben compreso ho seguito un altro percorso: se fossi passato nel luogo indicato sarei sprofondato in una grande buca che si era improvvisamente formata.