AMIATA – Urla, grida, insulti. Una testata al volto della sorella, per poi prendere per la testa la nipotina di solo 17 mesi e mandarla a sbattere contro la spalla della sorella. Una violenza cieca, per quelli che la vittima stessa definisce “futili motivi”.
La lite risale al 2019, in un piccolo comune dell’Amiata. Protagonista involontaria nel ruolo di vittima una donna e sua figlia di poco più di un anno. Oggi, dopo due processi, in primo grado e in appello, la condanna a 4 mesi e 15 giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e una provvisionale di 4mila euro totali.
È la donna, 34 anni, a raccontare la vicenda. «Ero a casa di mia madre con la mia bambina. Con mio fratello (ora 38 anni) iniziammo a litigare per una cosa di poca importanza. Ad un certo punto lui si scagliò contro di me, dandomi una testata in faccia. La bambina si era aggrappata alle mie gambe, la presi in braccio con l’intento di allontanarmi. Lui la afferrò per la testa e se non ci fossi stata io nel mezzo l’avrebbe mandata a sbattere contro la porta. Invece finì contro la mia spalla. Tutto questo davanti a mia madre che era nella stanza con noi».
Aldilà dei danni fisici, a far male è la ferita morale di questa vicenda: «Sono seguita dal centro antiviolenza, e da oltre un anno sono in terapia da una traumatologa. È un percorso molto lungo. Sono rimasta sola, oltre a mio fratello ho perso il resto dei familiari: mia madre non mi perdona di aver fatto denuncia infangando così il nome della famiglia. Ma non credo di essere io quella che ha gettato fango sulla famiglia».
Dopo l’aggressione la donna, con il sangue che le usciva dal naso, e la bambina in braccio andò dai carabinieri che visto lo stato di agitazione, consigliarono, dopo averla calmata, di farsi prima visitare in ospedale. Qui riscontrarono lesioni, soprattutto al volto della bambina: un “trauma carniofacciale” guaribile in 20 giorni.
Al processo la madre dei due fratelli ha tentato di tutelare il figlio, come si legge anche nella sentenza: «madre di imputato e parte offesa, riferiva di essersi trovata nel mezzo del litigio intercorso tra i due figli e, in dibattimento, con tutta la prudenza del caso (palpabile – a parere di questo giudicante – era la preoccupazione di non compromettere il figlio) riconosceva di avere visto, ad un certo punto, il figlio venire avanti con la testa, verso sua sorella, e che lei presentava “un piccolo goccio di sangue sul labbro”».
Mentre l’imputato durante il dibattimento ha ammesso solo di essere “venuto avanti con la testa” e, anzi, durante la sua testimonianza ha accusato i carabinieri, che lo convocarono in caserma, di averlo aggredito sia verbalmente che fisicamente con un pugno. Il giudice però ha ritenuto credibile il racconto della vittima, anche in ragione di referti e testimonianze, e ha condannato l’aggressore a 4 mesi e 15 giorni di reclusione (pena che non verrà menzionata nel casellario giudiziario) per lesioni, al pagamento delle spese legali quantificabili in 3.420 euro, e ad una provvisionale in favore delle vittime di 4mila euro totali.
«Però, per pagare, sta prendendo tempo adducendo il fatto che sta male – prosegue la donna -. E io come sto? Io che sono ancora in terapia, io che sono rimasta sola perché per i miei genitori l’onore è più importante della mia salute e di quella di mia figlia. Io che vivo nella paura di essere nuovamente aggredita da lui visto che viviamo in un piccolo paese. Ho una figlia di 5 anni e uno di 13. Il più grande vorrebbe uscire con gli amici, ma io non mi fido a mandarlo fuori da solo. Ho paura che gli faccia del male, non sono tranquilla».
Non convinto della sentenza di primo grado l’aggressore ha fatto appello, ma anche in secondo grado il giudice ha confermato la sentenza di primo grado. «La giustizia ha fatto il suo corso, ma non all’interno della mia famiglia: sono la vittima e vengo trattata da carnefice, e questo è quel che mi fa più male».