GROSSETO – Nono e ultimo appuntamento con Pro e contro, la rubrica estiva de ilGiunco.net.
In questi due mesi abbiamo affrontato molti temi d’interesse locale e nazionale: l’intitolazione di un’area pubblica a Silvio Berlusconi; il salario minimo; le adozioni arcobaleno; la pace fiscale; il reddito di cittadinanza; la legalizzazione dell’uso di cannabis; le intitolazioni di vie cittadine a Berlinguer, Pacificazione nazionale, Almirante; la tassa sugli extraprofitti delle banche. Una carrellata di argomenti cui oggi va ad aggiungersi quello conclusivo: siete favorevoli o contrari allo stop imposto dall’Ue alla vendita di auto alimentate a diesel e benzina a partire dal 2035? Abbiamo cercato di trattare ogni tema nel modo più esauriente possibile. A tutte le lettrici e i lettori e alle personalità che hanno voluto confrontarsi tramite Pro e contro, sempre fedeli a uno scambio schietto e corretto, va il nostro grazie. E adesso basta con i preamboli: accendiamo i motori, ultima corsa.
L’Unione europea ha scelto: dal 2035 stop alla vendita di auto e furgoni con motori a diesel o benzina. Si punta tutto sull’elettrico. Secondo la maggioranza degli stati Ue questa è la strada migliore per salvaguardare l’ambiente. È un passo epocale. La ratifica del regolamento è stata firmata dai ministri degli Esteri dei vari paesi lo scorso marzo. Nelle sedi preposte, l’Italia si è astenuta. Il che, per regolamento, ha valenza di voto contrario. Una scelta forte, quella dell’Ue, cui faranno eccezione, in virtù soprattutto della pressione esercitata dalla Germania, i motori alimentati da e-fuel, cioè combustibili di origine sintetica. Punto cruciale questo per i tedeschi, che una volta incassato il benestare della Commissione sui combustibili sintetici sono passati da una posizione di contrarietà verso il provvedimento a una favorevole.
Il nodo resta quello della convenienza della normativa: dal punto di vista economico, certo. Ma anche in ottica geopolitica, oltre che nella sua visione ecologista. Insomma, i veicoli elettrici rappresentano un futuro sostenibile? E l’Europa, per il momento unico continente ad aver deliberato in questo senso, rischia ripercussioni o vantaggi dal rovesciare il proprio mercato automobilistico? Queste sono solo alcune delle domande che analisti, politici e imprenditori vanno ripetendosi. E voi, siete d’accordo con questa scelta? Noi lo abbiamo chiesto a Marco Simiani, deputato del Partito democratico e sostenitore della misura adottata dall’Europa; Claudio Pacella, segretario provinciale della Lega a Grosseto, fermo oppositore del regolamento in questione.
Buona lettura.
MARCO SIMIANI:
«Inquinare di meno: questo l’obiettivo. Il Regolamento europeo numero 2023/851 del 19 aprile di quest’anno mira a rafforzare i livelli di prestazione delle emissioni di CO2 delle autovetture e dei veicoli commerciali leggeri nuovi, dunque punta a raggiungere ambiziosi e indispensabili target di riduzione delle emissioni di gas serra. Dal 1° gennaio 2030, gli obiettivi di taglio delle emissioni di CO2 saranno i seguenti: calo medio del 55 per cento per le auto nuove e del 50 per cento per i veicoli commerciali leggeri nuovi. Entro il 2035, la riduzione dovrà essere del 100 per cento. Il Governo italiano ha espresso dubbi sulla definizione dei biocarburanti come combustibili neutri. Tuttavia, la Commissione europea ha ribadito l’importanza dell’elettrificazione e non considera i biocarburanti come soluzione a lungo termine. Francia, Germania e Spagna hanno adottato politiche di sostegno per l’auto elettrica, mentre l’Italia sembra restia a seguire questa linea.
Investire nell’innovazione e nello sviluppo di batterie interne sarà fondamentale: si tratta del componente cardine per le nuove auto. E sarà necessario definire una transizione graduale verso la mobilità sostenibile, inclusi adeguati incentivi per auto elettriche, cambiamento fiscale progressivo e supporto all’industria automobilistica per adattarsi nel più breve tempo possibile alle nuove tecnologie. Questo aiuterà a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, creare nuove opportunità industriali, migliorare l’ambiente.
Si tratta di un punto strategico per il futuro del pianeta, la sostenibilità ambientale delle future generazioni.
Nessuno nega le difficoltà, sia economiche che logistiche, di questa inevitabile transizione.
Sarà fondamentale convertire la mobilità pubblica, soprattutto locale. Il Pnrr rappresenta, anche in questo contesto, una preziosa opportunità: è previsto lo stanziamento di 1,9 miliardi di euro destinati all’acquisto di autobus elettrici o a idrogeno nei grandi comuni.
Poi occorrerà predisporre una serie di incentivi per sostituire il parco automobilistico privato. Dovremo anche creare infrastrutture per la ricarica che siano adeguate e accessibili a tutti: dopo il Lussemburgo, l’Italia è ancora il secondo paese Ue con il maggior numero di auto circolanti in rapporto ai residenti. Parliamo di 663 auto ogni mille abitanti. Da queste viene una gran parte delle emissioni inquinanti responsabili della diffusione di gas serra.
Siamo chiari: è innegabile che il passaggio alle elettriche non sarà semplice. Comporterà anche l’introduzione di nuovi modelli di proprietà, logiche realmente compatibili con i costi dei veicoli e con la loro manutenzione. Penso per esempio alla diffusione dello sharing, della condivisione dei mezzi o del noleggio a medio termine. Tutto ciò premesso, credo sia doveroso non solo accettare, ma anche favorire il passaggio all’elettrico indicato dall’Unione con la scadenza del 2035: il pianeta ne ha bisogno».
CLAUDIO PACELLA:
«Sono assolutamente contrario all’obbligo imposto dall’Unione europea: un mezzo elettrico inquina più di uno alimentato a combustibile. Tanto per cominciare, per produrre l’energia necessaria alle industrie che costruiscono automobili è indispensabile utilizzare carbone, petrolio, gas, nucleare e via dicendo. Con l’uso quotidiano delle elettriche si vanno ad abbattere le emissioni di CO2, ma le batterie utilizzate da questo tipo di veicoli sono altamente inquinanti e molto difficili da smaltire, hanno un breve ciclo di vita e risultano assai costose.
La realizzazione delle batterie elettriche nasconde situazioni che vanno ben oltre la vergogna: parlo dello sfruttamento dei bambini per le cosiddette terre rare, materiali indispensabili per queste unità. Penso, per esempio, al cobalto. A tal proposito voglio citarvi stralci di un articolo uscito sul quotidiano il Domani. Siamo in Congo: “Almeno 40mila piccoli schiavi già a 6 anni scavano a mani nude il cobalto. Non più di dieci euro per tirar fuori in due giorni i dieci chili per una batteria al servizio della rivoluzione verde”. E poi ancora: “Secondo l’Unicef sono oltre 40mila quelli che si calano nelle gallerie a età anche di 6-7 anni e scavano a mani nude per portare in superficie quantità sempre maggiori di cobalto”. Senza considerare che l’affidabilità in caso d’incidente è bassissima: rimpiazzare una batteria elettrica rovinata ha un costo enorme, spesso pressoché pari a quello corrisposto inizialmente per l’intera vettura. Insomma, insostenibile.
Ma c’è dell’altro. Sì, perché il nostro Paese non è provvisto di una rete adeguata per il rifornimento di una massa enorme di veicoli elettrici: andrebbe predisposta e comporterebbe costi e tempi enormi. Inoltre, anche in presenza di una rete di servizio fitta ed assolutamente efficiente, sarebbe comunque indispensabile fermarsi più volte per ricaricare la batteria del proprio automezzo durante tragitti lunghi: questo ci riporterebbe indietro di cento anni, quando per fare mille chilometri occorrevano un paio di giornate.
Oggi esistono motori diesel e benzina altamente performanti ed estremamente puliti. Uccidere un’intera filiera – perché di questo si tratta – non ha senso. L’azione dell’Ue rischia di portare danni enormi a tutto il comparto. Componentistica e ricambi, officine, meccanici: un disastro e migliaia di posti di lavoro distrutti. Il problema è che c’è chi vuole spingerci verso questa direzione. Lo dimostrano anche le violente speculazioni sull’aumento dei prezzi di diesel e benzina.
L’Europa – e concludo – è l’unico continente che ha deciso di suicidarsi, tra l’altro rendendosi schiavo di batterie che per il 90 per cento vengono prodotte in Cina. Un’assurdità.
Servono politiche in grado di preservare davvero l’ambiente e senza disintegrare l’economia. La corsa all’auto elettrica aiuta solo pochi: quelli che ci guadagnano. E di sicuro non siamo noi cittadini europei. Men che meno noi cittadini italiani».