GROSSETO – «Lo scorso aprile i capigruppo del Partito Democratico, di Grosseto Città Aperta e del Movimento 5 Stelle si erano rivolti alla Prefettura per denunciare la violazione delle regole democratiche e delle prerogative delle minoranze da parte del presidente del consiglio comunale, Fausto Turbanti, il quale con una decisione senza precedenti aveva dichiarato pregiudizialmente inammissibile la mozione per chiedere la revoca di via Almirante». Inizia così la nota dei capigruppo del Partito Democratico, di Grosseto Città Aperta e del Movimento 5 Stelle Davide Bartolini, Carlo De Martis, Giacomo Gori sul caso della mozione non ammessa in consiglio comunale.
«Ebbene, nei giorni scorsi in Municipio è giunta la nota della Prefetta, Paola Berardino, che dopo aver interessato della vicenda lo stesso Ministero dell’Interno sconfessa l’operato del presidente del consiglio comunale, affermando “che le mozioni non sono soggette ad alcun preventivo esame che ne determini l’ammissibilità” e chiamando ora Turbanti a provvedere agli adempimenti di competenza.
Un’azione dunque di assoluta gravità quella realizzata dal presidente del consiglio, priva di qualunque fondamento giuridico e dalla matrice tutta politica, come aveva apertamente rivendicato il sindaco affermando che la mozione era inammissibile poiché andava “a scontrarsi con una decisione chiara e inequivocabile dell’Amministrazione”».
«In altri termini il consiglio comunale non potrebbe esprimere il proprio dissenso rispetto ad una decisione assunta dalla giunta comunale. Praticamente un potere di veto che, ovviamente, non ha legittimazione in alcuna fonte normativa ma solo nella fantasia di chi amministra la nostra città.
Proviamo a ricapitolare i fatti».
«Il 14 marzo la giunta comunale, disattendendo le indicazioni dell’ufficio toponomastica, delibera di intitolare a Giorgio Almirante, Enrico Berlinguer ed alla pacificazione nazionale tre vie della città.
Il 28 marzo i gruppi del Partito Democratico, Grosseto Città Aperta e Movimento 5 Stelle presentano una mozione affinché il consiglio comunale si esprima contro le intitolazioni volute dalla giunta, sennonché il 30 marzo il presidente del consiglio assume la decisione – fatto mai accaduto prima – di non consentire la discussione della mozione».
«Viene così interpellata la Prefettura che l’8 maggio avvia l’iter formale intervenendo presso l’amministrazione comunale per ricevere i necessari chiarimenti. Il sindaco, preso in contropiede, si inventa la ‘contro-mozione’. In altre parole dà ordine ai capigruppo della maggioranza di presentare una mozione uguale ma contraria a quella delle opposizioni, con la speranza che questo lo salvi dalle censure della Prefettura. Cosa che, puntualmente, non accadrà, tanto era maldestro il tentativo.
La contro-mozione viene comunque calendarizzata per il 25 maggio, ma per il 23 maggio è già prevista l’audizione del presidente del consiglio, del sindaco e del segretario generale dinanzi alla Commissione di garanzia, chiesta dalle opposizioni».
«Un appuntamento talmente temuto dai vertici dell’amministrazione comunale che accade l’incredibile. Il 18 maggio i capigruppo del Partito Democratico, di Grosseto Città Aperta e del Movimento 5 Stelle vengono convocati dal presidente del consiglio alla presenza del segretario generale, del capo di gabinetto del sindaco e dello staff dell’ufficio affari istituzionali e lì ricevono la ‘proposta indecente’: la rinuncia alla Commissione di garanzia in cambio della riammissione della mozione, peraltro con la riaffermazione di quell’inaccettabile potere di veto sugli atti delle minoranze quando in dissenso con le decisioni della maggioranza. Come se si potesse sanare una violazione delle prerogative dei consiglieri comunali mettendo la sordina al potere-dovere di controllo degli stessi consiglieri».
«La ‘proposta indecente’ viene rispedita al mittente. La questione infatti è di assoluta gravità e va ben oltre il merito della mozione che è stata bloccata, assumendo una rilevanza assai più ampia. Per quanto politicamente, istituzionalmente e giuridicamente sgangherata, l’azione realizzata dal presidente del consiglio, a quattro mani con il sindaco, se fosse stata tollerata sarebbe divenuta un pericolosissimo precedente, aprendo alla possibilità per la maggioranza di turno di bloccare sul nascere potenzialmente ogni proposta dei consiglieri comunali solo perché non allineata con l’azione politica della stessa maggioranza».
«Il presidente del consiglio è dunque venuto meno ai suoi doveri istituzionali ed al suo ruolo di garanzia, letteralmente inventandosi un balzano provvedimento di inammissibilità preventiva destinato ad impedire l’esercizio della dialettica democratica, con ciò contravvenendo ai principi ed alle norme richiamate nella nota della Prefettura in cui sta scritto a chiare lettere che le mozioni configurano “un potere a tutela della minoranza”, costituendo “lo strumento primario affinché il ruolo dell’eletto possa svolgersi con compiutezza” ed attraverso il quale, per l’appunto, “si soddisfa l’elemento della dialettica democratica”».
«Quel che forse è peggio, infine, è che quanto compiuto dal presidente del consiglio neppure sarebbe stata farina del suo sacco. Come abbiamo potuto appurare attraverso un accesso agli atti, a tirare le file di tutta questa triste e grottesca vicenda ci sarebbe personalmente il sindaco. Da lui infatti sarebbe provenuto il parere di inammissibilità e dunque il dicktat al Turbanti il quale, evidentemente, non ha avuto né l’autorità né l’autorevolezza per tutelare, come avrebbe dovuto, il ruolo del consiglio comunale e dei suoi componenti, preferendo invece assecondare i desiderata del capo.
Evidente che delle osservazioni espresse dalla Prefettura rispetto all’operato di figure apicali dell’amministrazione comunale di Grosseto dovrà ora essere interessata la Commissione di garanzia, confidando che gli autori di quanto accaduto si assumano, per una volta, le loro responsabilità di fronte ai grossetani».