GROSSETO – È vecchio di decine di anni il pezzo di osso trovato nell’orto occupato da Michele Rossi, detto Ape, e che i carabinieri avevano sequestrato durante la perquisizione dell’area mentre erano alla ricerca di due cadaveri.
Il perito, nella relazione, ha scritto che si tratterebbe di “un frammento di una costa di soggetto adulto, deceduto diverse decine di anni fa” e questo si evincerebbe dalla “friabilità e leggerezza del reperto che ha soggiornato per diverso tempo interrato” il frammento “non present segni di rottura recenti. Non è possibile determinare le cause della morte; non vi sono comunque segni di azioni violente”. Le analisi di laboratorio, “pur accertando la provenienza dalla specie umana non hanno consentito di effettuare un profilo genetico utile a fini comparativi”.
Si è sgonfiata così l’unica traccia dei famosi cadaveri, cercati per giorni dalla Procura, le cui indagini erano partite dalla testimonianza di un conoscente di Rossi.
«Questa vicenda mi ha rovinato la vita – racconta Ape – ci sono persone che conosco da 50 anni che mi hanno detto di non farmi vedere finché non avessi chiarito la mia posizione. Faccio manutenzione delle roulotte nei campeggi, chiamato direttamente dai clienti e mi hanno fatto problemi ad entrare nei camping. Io e la mia compagna viviamo di questo. Lei fa piccoli lavoretti, ma il grosso lo porto io con il mio lavoro. Mi hanno precluso ogni via, ogni strada che mi sono aperto negli anni per vivere onestamente».
Poi torna sulla vicenda del cadavere: «Questo osso è lì da decine di anni» racconta Rossi che vede finalmente la luce in fondo al tunnel di questa vicenda che lo ha visto coinvolto. «Io mi sono fatto un’idea: nel ’44 durante i bombardamenti, forse un soldato, o qualcun altro che nessuno ha cercato, che viveva solo (qui era tutta campagna). Forse è stato colpito. Poi magari gli animali hanno fatto il resto facendo sparire i resti».
«Quando sono venuti i carabinieri, in sette otto, ho detto: “siete venuti ad arrestarmi?”. La mia compagna era tornata dalla Cina da poche ore e mi ha chiesto “che hai combinato?”».
Quando chiediamo a Rossi di che idea si sia fatto della vicenda racconta: «Chi mi accusa occupava questa zona prima di me (Ape vive nell’area dal febbraio del 2020 ndr). Ci faceva l’orto, ma aveva trasformato questo pezzo di terra in una discarica. Raccoglieva roba ai cassonetti e l’accumulava qui. Quando sono venuto a viverci ho ripulito tutto, e gli ho vietato di portare i suoi rifiuti. Lui continuava a portarli. Quando è arrivato l’ultima volta con il motorino l’ho perso al lazzo con uno dei copertoni che aveva lasciato e gli ho detto chiaramente che non doveva tornare o mi prendevo il suo motorino. Si mise a piagnucolare e poi tornò con un amico par suo. Insieme mi minacciarono perché facessi tornare qui chi poi mi ha accusato. Volevano farmi paura “Ho il cane, lo lascio libero, ti faccio ammazzare tutti i gatti”. Intervenne anche il rumeno che vive qui a fianco. “non finisce qui” mi dissero. Non li ho più rivisti per un anno e mezzo. Poi ad aprile incontrai uno dei due in piazza della Vasca. Non mi lasciava in pace. Sapendo che ha poca voglia di lavorare gli proposi che mi fresasse l’orto in cambio di 5-10 euro. Poi non l’ho più rivisto. Un mese dopo è andato da un amico ex carabiniere a raccontare di aver visto nel mio orto i cadaveri di due stranieri».
«Chi mi accusa non ha le capacità e l’intelligenza di fare tutto da solo- continua Rossi – deve esserci qualcuno dietro. Me l’avevano promessa. Già quando andò a fuoco una roulotte qui vicino mi dissero che stavano preparando qualcosa per me, per cacciarmi anche da qui. Vogliono distruggermi. Togliermi ogni cosa perché voglio vivere diversamente».
In questo momento, dopo l’incidente in cui è morto un ciclista, Rossi non ha la patente: «Non posso lavorare. Come faccio ad andare dai clienti» il lavoro di Ape è quello della manutenzione delle roulotte. Ne ha una quindicina. Alcune già pronte da vendere, una già venduta, e altre in via di riparazione. «Le smonto, risistemo gli interni. Rifaccio i freni, i cerchioni, cambio le ruote» ne ha di ogni dimensione. Poi ci sono quelle dei clienti che hanno bisogno di lavoretti. Ma senza patente diventa difficile andare a casa della gente. «Il ciclista aveva lo stop. La visibilità è poca e me lo sono trovato davanti a pochissimi metri. Era impossibile avere il tempo di fermarsi». Tra l’atro non è il primo incidente mortale che avviene all’incrocio «Forse sarebbe l’ora che il Comune pensasse a degli strumenti per far rallentare chi attraversa».
Intanto però, almeno la vicenda dei due cadaveri sembra giungere al termine positivamente. «la conclusione più logica di questa vicenda è la richiesta di archiviazione al Gip – afferma l’avvocato di Rossi, Giovanni Livio Sammatrice -. Tra l’altra non è emerso nulla né dall’analisi dell’osso, né dalla relazione dei geologi. Non c’è nulla che sia attribuibile all’indagato. Le dichiarazioni di chi lo accusa si sono rivelate solo fantasia. Una fonte non attendibile né credibile».