GROSSETO – «La liberazione di Grosseto rappresentò la fine di un’occupazione e contemporaneamente segnò l’inizio di una nuova fase per la nostra città. Fu un momento di coraggio e resilienza, una vera e propria rinascita». Così il sindaco di Grosseto Antonfrancesco Vivarelli Colonna si rivolge alla cittadinanza nel giorno in cui si celebra la Liberazione della città dal regime nazifascista, avvenuta il 15 giugno 1944.
«Credo sia importante evitare – prosegue il sindaco – che questa occasione venga ridotta a una semplice commemorazione di vittime o a un elenco disarticolato di episodi di lotta partigiana, rischiando di cadere in una retorica celebrativa vuota. Al contrario, dobbiamo cogliere questa preziosa opportunità di riflessione per estrarre insegnamenti significativi dagli eventi che si sono svolti e far sì che questi possano guidarci nel cammino del presente».
«Come in molte altre città italiane, nonostante le innumerevoli difficoltà, l’avanzata delle truppe alleate fece maturare nella popolazione un’ostinata determinazione a combattere un nemico sempre presente e pronto a colpire. Fu grazie a questa determinazione e al volontarismo collettivo delle persone che il consenso consolidato intono a un regime ormai in frantumi, venne smantellato, dando vita a un mosaico complesso in cui pezzi differenti si unirono, dimostrando una straordinaria tenacia di fronte alle avversità. All’epoca non era chiaro ai più cosa sarebbe successo alla città dopo il ritiro delle truppe nazifasciste. L’unica cosa che veramente importava era liberarsi delle privazioni e degli orrori della guerra, una guerra che Grosseto aveva pagato a caro prezzo, con il sangue dei suoi cittadini, sia militari che civili».
«Fu il 15 giugno di 79 anni fa, che Grosseto riconquistò finalmente la sua libertà – afferma Vivarelli Colonna -. E poco importava che alcune ore dopo le truppe anglo americane entrassero nella città ed istituissero un loro governo di amministrazione militare. Grosseto, come tutte le altre città italiane liberate, si trovò ad affrontare una nuova fase, quella della Commissione di Controllo Alleata, in cui l’Amministrazione cittadina ricadeva completamente nelle mani delle truppe anglo americane, sfuggendo così a una compartecipazione di governo con gli alleati sovietici. Fu in quel momento che l’Italia e Grosseto si trovarono a sperimentare il cosiddetto “Precedente italiano”, radice estremizzata del futuro confronto internazionale che innescò la guerra fredda».
«Grosseto nella storia: il 15 giugno 1944 non fu propriamente un giorno di festa. O almeno, con il senno del poi, lo sarebbe stata solo a metà, per ovvi motivi. Riporto questo perché, come diceva malinconicamente Ferruccio Parri, “ora tutto sembra facile e normale”, ma dobbiamo ricordarci che, per quanto riguarda momenti così confusi e drammatici, rivisitare la nostra storia rimane un’operazione difficile e complessa. È un compito che richiede uno sforzo maggiore, un passo ulteriore sia perché la realtà attuale si allontana sempre di più da quel passato, sia “perché su certi fatti, sul sacrificio compiuto si stende la nebbia obliteratrice del tempo».
«Ricordare oggi quel passato, non dovrebbe significare fare un’opera di celebrazione distaccata, bensì decidere di riprendere uniti il cammino contro i pericoli attuali, aiutati dal ricordo di come sono stati affrontati quelli passati. Proprio quell’aspra e dibattuta unità popolare, formatasi tra mille contrasti e perciò maggiormente preziosa, proprio quella comunanza d’intenti volta a riaffermare il principio antico che il potere non deve averla vinta sulla virtù (come scriveva lo storico Claudio Pavone), si è poi progressivamente consolidata, fino a diventare la base e l’essenza della nostra democrazia, permeando ogni articolo della nostra Costituzione. Ed è proprio a quella connessione, a quella simbiosi, a quello spirito di solidarietà così spontanea che pervase tra i nostri minatori, i nostri contadini, i nostri cittadini di tutti i ceti, di tutte le età, di tutte le zone e delle più varie provenienze ed esperienze, che dobbiamo guardare e riscoprire se vogliamo che la democrazia e la cultura, in tutte le loro sfumature, possano oggi reagire e prosperare. Poiché senza la necessaria volontà di creare relazioni c’è uno sfaldamento totale, perché tutto si fonda sulle relazioni».
«Le relazioni – dichiara Vivarelli Colonna – servono a difenderci da una società che purtroppo oggi risulta sempre più indifferente e dominata dal cinismo. Servono a difenderci da una società che ancora fatica a superare le proprie contraddizioni. Questo perché la società di oggi è una società che ha tremendamente bisogno di crescere proprio attorno a quei valori, a quei principi universali ed eterni che ispirarono la liberazione. Nonostante ci si ostini ad associare l’idea della liberazione ad immagini di battaglie, di scontri e di sofferenze umane, dandone forse una lettura troppo semplice e riduttiva, a mio avviso, l’aspetto più difficile e necessario oggi sarebbe quello di farsi carico di una prospettiva di celebrazione che sia veramente diffusa, che vada al di là degli episodi specifici. Questo significa guardare oltre i vincitori e i vinti, per abbracciare l’idea che la liberazione sia stata soprattutto un momento di rinascita per l’intera comunità. Dopo un periodo buio, il popolo grossetano ha indubbiamente dimostrato una volontà comune e ostinata. In tal modo, ha contribuito a costruire una solida base sociale, pronta ad abbracciare i valori e i principi democratici che sarebbero emersi successivamente. La Liberazione rappresenta, dunque, l’inizio di un percorso di trasformazione e di costruzione in cui la comunità si impegna a progredire».
«La storia ci insegna che nessuna conquista è definitiva – conclude il sindaco -, ma ci insegna anche che quando esiste coscienza e volontà, ogni giorno, ogni anno, si può portare un contributo al progresso della nostra società. Noi dobbiamo e vogliamo essere, quindi, i successori degni della Liberazione, di quel patrimonio irrinunciabile e non dobbiamo mai stancarci di proclamare e difendere la grande lezione unitaria, democratica e pacificatrice che essa ci ha insegnato».