JAMES FENIMORE COOPER
“L’ULTIMO DEI MOHICANI”
GARZANTI, MILANO, (1826) 2003, pp. 436
Ho scelto questo libro per congedarmi dai quattordici lettori di “Pergamena”, che mi hanno seguito per 127 puntate (quasi tre anni continuativi salvo le ferie estive). Fuori della citazione manzoniana i lettori hanno oscillato in media dai 50 ai 120 lettori per domenica, anche se comunque è una goccia nel mare di un “mercato delle lettere” italiano, fatto da molti scrittori, moltissimi giornalisti, un fitto sottobosco di piccoli editori più o meno validi e da pochi lettori per quanto in aumento. Sono venute meno le condizioni, che tre anni fa hanno presieduto alla nascita della rubrica. Di questo ringrazio il direttore de “Il Giunco” per l’ospitalità, nonostante l’asperità di uno strumento che voleva stare ad un livello di divulgazione “popolare” e militante della letteratura alta, italiana e straniera e non solo quella locale. I più aficionados potranno continuare a leggere i miei pezzi su www.letteraturaenoi.it, il blog dell’editore Palumbo, diretto da Romano Luperini, l’autore della “letteratura italiana” più diffusa nelle nostre scuole. L’appuntamento è anche su una nuova piattaforma che mantenga il livello della divulgazione.
Raccontando questo libro di avventure e di guerra, spesso scambiato per un libro da ragazzi e più conosciuto come film colossal (ho contato 14 versioni cinematografiche e televisive), in realtà un romanzo storico di solido impianto, non dimenticherò l’altra guerra infinita in corso in Ucraina e la lotta delle donne curde e iraniane per la vita, la libertà e la democrazia. La mia stessa lotta.
“L’ultimo dei Mohicani” (un titolo diventato espressione gergale) è il più famoso dei romanzi di Cooper e fa parte del ciclo noto come I racconti di Calza di Cuoio. Sullo sfondo della brutale guerra coloniale tra Francia e Inghilterra, combattuta a metà del Settecento nello scenario del Nord America più selvaggio, vengono narrate le vicende di Natty Bumppo, soprannominato appunto “Calza di cuoio” o “Occhio di falco”. È un cacciatore bianco, un pioniere che fuggendo la civiltà ha scelto di vivere in simbiosi con la foresta e di condividere i costumi e i valori degli indiani, soprattutto il rispetto per la natura.
Si tratta di valori misconosciuti dalla tradizione dei film western, tutti centrati sul mito statunitense della frontiera. Egli è legato da un rapporto di leale amicizia con il vecchio capo indiano Chingachgook, ultimo superstite della tribù dei guerrieri mohicani e con il figlio Uncas, che diventa protagonista della valorosa difesa gli inglesi assediati in un fortino dai soldati francesi. Il romanzo si intreccia con una travagliata storia d’amore. I tre dovranno aiutare le due figlie del colonnello inglese Munro, Alice e Cora, rapite dal nemico comune Magua, capo di un gruppo di indiani uroni, che è alleato dei francesi. Cora e Alice sono sorellastre: Cora è nata dal primo matrimonio del colonnello con una donna mulatta. Magua vuole Cora in moglie e più volte le offre la scelta fra il matrimonio e la morte, ma lei rifiuterà sempre. Il lungo inseguimento di Magua si concluderà con la morte di Cora, Uncas e dello stesso Magua, ucciso da Occhio di Falco. Il romanzo finisce con una dettagliata descrizione dei funerali di Cora e Uncas secondo il rito indiano.
Secondo la quarta di copertina “Cooper inaugura il filone epico della letteratura nazionale creando l’archetipo dell’eroe americano in bilico tra natura e civiltà, innocenza e progresso, un mito narrativo che eserciterà un profondo influsso su tutta la successiva letteratura nonché sul cinema”. Come si può capire non si tratta della storia della purezza dell’ultimo erede della stirpe dei mohicani come qualcuno ha sostenuto perché invece siamo di fronte ad una mescolanza di etnie e costumi. Il romanzo racconta il cambio drammatico di un’epoca e la nascita del cosiddetto “melting pot”, cioè la mescolanza delle nazioni, delle etnie e delle religioni, da cui nasce e si forma la nazione americana con tutta la sua forza originaria e tutte le sue contraddizioni.
Non posso negare che nella scelta di concludere “Pergamena” con questo romanzo vi sia alla base l’ identificazione con il protagonista Uncas, l’erede di una tradizione antica, che si apre alle contraddizioni del moderno. Insomma ancora un’allegoria.