ANNIE ERNAUX
“IL RAGAZZO”
L’ORMA EDITORE, ROMA, 2022, pp. 58
Continua la guerra in Ucraina e non vi sono segnali di pace, anzi la carneficina continua e i segni di escalation verso la guerra nucleare sono quotidiani (oggi la nube dovuto all’esplosione di un deposito di munizioni all’uranio impoverito, notizia che andrebbe verificata attentamente). Analogamente continua la carneficina delle donne curde e iraniane. Dedico a loro la recensione di questo libro, che rivendica la libertà delle donne e gli stessi diritti degli uomini.
È un agile libricino che contiene un racconto autobiografico della vincitrice del Premio Nobel 2022, che risale come ci avverte la data in calce al 1998-2000. In realtà il racconto occupa 27 pagine. Il resto è il frutto di un’abile operazione editoriale, aggiungendo tre testi dell’autrice, usciti in varie occasioni: “Scrittura e memoria” (2016); “L’Europa e la libertà delle donne” (2016) e “Il territorio dell’esperienza” (2012). Altrimenti il racconto non avrebbe potuto uscire come volume a sé stante, per quanto piccolo. Infatti è un volumetto come quelli che mi piacciono, di dimensioni tascabili, ed è la ragione per cui l’ho comprato, oltre all’interesse per l’autrice. Lo stile è quello che conosciamo della Ernaux: un unico arco narrativo, diviso in piccoli paragrafi (definiti “lasse” da Romano Luperini), divisi da uno spazio bianco, di argomento rigorosamente autobiografico. Questa volta per quanto racconti una storia per molti versi simile a quella di molte donne, in particolare la vicenda dell’aborto clandestino, l’autobiografismo dell’autrice de “Gli anni” (2015) è meno “impersonale” di quanto sia stato detto.
Ella racconta una storia “speciale”, quella della sua relazione di “una donna in menopausa” con un ragazzo “che avrebbe potuto essere mio figlio”. A., che rimane anonimo – come spesso accade nei libri della Ernaux – è “un ragazzo di venticinque anni”. Detta così è una storia “scandalosa”, così come l’io narrante si dipinge, richiamando alla memoria il rimprovero della madre per “il vestito molto aderente [che] mi era valso le occhiate di tutti”. Il suo commento è “mi sembrava di essere di nuovo quella stessa ragazza scandalosa”. Questo è il livello di lettura più superficiale come dice la scrittrice stessa: “una sfida per cambiare le convenzioni”, e come richiama il secondo dei testi aggiunti sulla condizione femminile. Alcuni commentatori in rete hanno sottolineato questo aspetto, che definirei sociologico: “Avere un amante giovane e dirgli addio per un altro piacere: Annie Ernaux rompe l’ultimo tabù” titola il suo pezzo Daniela Amenta sul sito “Tiscali cultura”. C’è motivo per poterlo pensare per il paragone rivendicativo con gli uomini, che l’autrice fa a proposito del suo amante giovane rispetto al proprio invecchiamento: “Gli uomini lo sapevano da sempre, non vedevo in nome di che cosa io me lo sarei dovuto negare”. Così siamo pari.
Banalizzando è quello che una volta dicevano gli uomini maturi: una donna giovane ti rinnova il sangue. Sinceramente mi pare un po’ poco per capire il discorso dell’Ernaux, che è più profondo, dove “profondo” ha a che fare con le stratificazioni della nostra psiche come dei livelli della scrittura. L’autrice ci conduce per mano al nocciolo dello scandalo, fino ad un acme dove non solo si rompe un tabù atavico, ma emerge dall’inconscio la sua pretesa di farne un elemento positivo. Prima racconta la coincidenza per cui dalla stanza fredda della casa del giovane amante si vede l’ospedale dove “ero stata portata una notte di gennaio per un’emorragia causata da un aborto clandestino … C’era, in quella coincidenza sorprendente, quasi inaudita, il segno di un incontro misterioso e di una storia che andava vissuta ”. Lentamente poi il mistero viene svelato: il ragazzo la chiama “mamma” con vari “termini gergali” e lei si comporta da madre, facendogli delle “scene … quando mi diceva di essersi fatto una canna”.
Alla fine lo scandalo viene chiamato con il suo nome di fronte ai loro corpi nudi in spiaggia:“Davanti alla coppia che visibilmente formavamo, gli sguardi si facevano impudenti, rasentavano la stupefazione, come davanti a un’unione contro natura. O a un mistero. Non era noi che vedevano, era, confusamente, l’incesto”. Ma ancora questo non è l’unico decisivo piano di lettura. La Ernaux ce lo dice esplicitamente: “Ciò che sentivo in quel rapporto era di una natura indicibile, dove si mischiavano sesso,tempo e memoria”. Eppure la scrittrice ci aveva avvertito dalla prima pagina: “Spesso ho fatto l’amore per obbligarmi a scrivere … Speravo che la fine dell’attesa più violenta che ci sia, l’attesa di godere, mi facesse provare la certezza che non esiste piacere superiore a quello della scrittura di un libro”.
Ecco la scaturigine prima dell’opera d’arte, nello specifico dello scrivere: il sesso, la scaturigine della vita, la pretesa di eternità dell’amore, il suo tentativo di esorcizzare lo scorrere inesorabile del tempo e il piacere di ricordare, che prolunga il piacere e l’esorcismo all’infinito. Lascio come a solito alla curiosità del lettore la scoperta dell’agnizione finale, anche se è facile intuire come possa finire una storia simile, ma anche qui l’aspettativa del lettore è rovesciata all’ultima riga. Si spiega anche la relazione iniziale con l’aborto ricordato nell’incipit, che allude ad una sorta di frutto dell’incesto.
Se il lettore ha la pazienza di leggere anche i tre scritti che completano il volumetto, non li troverà così estranei e artificiosamente riempitivi, in particolare il primo sulla “scrittura e la memoria”, che serve “per capire e per salvare la vita”. Appunto.