SCARLINO – Domenica 21 maggio ricorrerà il 34° anniversario della storica visita del santo papa Giovanni Paolo II in Maremma. Visita che egli volle iniziare tra i lavoratori del Casone di Scarlino, dove oggi si addensano nubi preoccupanti.
“Carissimi operai degli stabilimenti di Scarlino e della nuova Solmine – furono le sue parole -. Se mi chiedete quali sono le ragioni profonde che spingono la Chiesa a interessarsi in maniera diretta e partecipata al vostro mondo, vi risponderò che sono soprattutto due, tra loro connesse e complementari. La prima ragione è che la Chiesa ha ricevuto da Cristo la missione di guidare l’uomo alla salvezza, orientandone l’impegno nei molteplici settori nei quali si esprime e si svolge la sua vicenda terrena. Di tale vicenda il vasto e differenziato campo del lavoro costituisce una componente essenziale. Il lavoro, perciò, fa parte del progetto che Dio ha sull’uomo, progetto che egli ha manifestato nella sua Rivelazione. C’è un Vangelo del lavoro che la Chiesa ha il compito di predicare, affinché l’uomo possa conoscere sempre meglio la sua vocazione e, accogliendola, contribuisca in modo costruttivo al comune progresso. La seconda ragione sta nella solidarietà profonda che la Chiesa avverte per l’uomo e per tutto ciò che “incide e decide” della sua piena realizzazione di persona voluta da Dio creatore a sua immagine e somiglianza”.
«Rileggere oggi – è la riflessione di don Franco Cencioni -, a distanza di 34 anni, le parole che il santo papa Giovanni Paolo II pronunciò a Scarlino dinanzi agli imprenditori e alle maestranze della piana industriale della nostra Maremma, è prendere coscienza di una profezia di cui il Papa, che aveva conosciuto egli stesso il lavoro duro nelle cave di pietra della Solvay, ci ha fatto dono».
«Il 21 maggio sono, come detto, 34 anni dalla storica visita che Giovanni Paolo II compì in Maremma. E ripensando a quella mirabile giornata, viene da dire grazie a quel grande Pontefice per la scelta che volle fare di iniziare il suo pellegrinaggio tra noi partendo da un luogo di lavoro. Gliene siamo grati perché quella tappa fu il segno più bello di quanto la Chiesa sappia guardare “alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini d’oggi”, come recita il proemio della Gaudium et spes, con premura e concretezza. Ecco perché il discorso che il Papa santo tenne 34 anni fa agli imprenditori e agli operai della zona industriale del Casone andrebbe riletto attentamente da tutti».
«Ci sono – afferma don Franco Cencioni -, almeno in parte, le risposte alla crisi che oggi quell’area produttiva della nostra provincia sta vivendo e che, come Chiesa locale, seguiamo con apprensione. Quelle parole si inseriscono sulla scia di tanti documenti che hanno preceduto e seguito la visita di Giovanni Paolo II a Grosseto, non ultime le encicliche sociali di papa Francesco (Laudato sì e Fratelli tutti), che ci richiamano comunitariamente alla corresponsabilità nei riguardi del lavoro, perché sia tutelato pienamente, dignitoso e sicuro».
«Pochi giorni fa abbiamo ricordato la strage di Ribolla, ora ricordiamo la visita del Papa in Maremma mentre una grave situazione di incertezza pesa sul futuro di molte famiglie e di quanti sono impiegati nell’area del Casone. Il mio è l’appello di un vecchio prete, che ha avuto la grazia di assistere a tanti cambiamenti in questa terra, figlio di minatori a cui i Vescovi, che si sono succeduti, più volte hanno affidato la missione di operare in mezzo al mondo del lavoro. Penso agli anni vissuti tra Giuncarico e Bagno di Gavorrano, penso alla mia Boccheggiano e a tutta l’area delle colline metallifere oggi in degrado demografico ed economico. Rimbocchiamoci insieme le maniche: imprenditori, lavoratori, sindacati, politici, economisti, uomini di finanza, ambientalisti, corpi intermedi per cercare di dare un futuro al lavoro sicuro, degno e solidale di quella zona, oggi minacciato».
«Io non ho le soluzioni, né ho competenze di politica industriale; so però che la buona volontà è la precondizione per evitare disastri che poi si ripercuotono sulla tenuta sociale della nostra terra. Ci accompagni la parte finale del saluto di papa Giovanni Paolo II, il santo subito: “So che le vostre imprese, oltre a tener conto dei criteri di modernizzazione tecnologica, si sono preoccupate degli aspetti ecologici. Io auguro che questi impianti, grazie allo sforzo rinnovato e costante dei responsabili, possano divenire un modello industriale, in cui i rapporti tra uomo e ambiente, tra operaio e dirigente siano sempre più umani nel senso dell’autentico sviluppo”».
«È l’appello di un maremmano di 97 anni: non lasciamoci rubare il futuro, il lavoro buono e la speranza. “Lavoro sul lavoro” disse Giovanni Paolo II al Casone per significare “un impegno efficace a servizio di chi lavora. Secondo il progetto di Dio il lavoro è la strada sulla quale l’uomo deve perseguire la piena attuazione della propria umanità”. I nostri pastori, successori dei vescovi Tacconi e Vivaldo, che nell’89 accolsero il Papa al Casone, hanno continuato fino ai nostri giorni, la loro personale presenza negli annuali incontri sul posto di lavoro per mantenere viva e operante la presenza della Chiesa laddove la vita trova la sua espressione più completa di questo dono: il lavoro, sia pure nella fatica che costa per sostenerla e mantenerla. Per il poco che posso, assicuro la disponibilità della mia modesta esperienza di sacerdote, nato e vissuto tra la gente, a favorire il dialogo».