ANTON CECHOV
“TRE RACCONTI”
(TRADUZIONE DI PIA PERA)
VOLAND, ROMA, 2011, pp. 71
Propongo tre racconti di un autore, che è originario dell’Ucraina dove si combatte una guerra senza fine apparente, per la precisione di una piccola città dei territori contesi del Donec. Inutile dire che gli scrittori di lingua russa, compresi quelli originari di quelle tormentate terre di confine, fanno parte a tutti gli effetti della cultura europea e che su questo la guerra c’entra poco e niente. Ho comprato questo agile volumetto perché, cercando i medici scrittori, non mi sono trovato in libreria il volume di tutti i racconti, uno dei primi comprati per le scorribande notturne della mia adolescenza.
I tre racconti proposti dalla piccola casa editrice, specializzata in letterature straniere e segnatamente slave, sono stati tradotti da Pia Pera, di cui abbiamo parlato come personaggio del romanzo “Due vite” (E. Trevi, 12.9.2021), vincitore dello Strega 2021.
L’autore è più noto come drammaturgo di fama mondiale, ma si affermò scrivendo racconti di ogni tipo, soprattutto ironici, per molti giornali. Ne scrisse circa 650 e ne raccolse in volume solo una parte. Questi tre fanno parte della raccolta “Nel crepuscolo” (1887). Secondo alcuni critici Cechov ha inventato il racconto moderno, cioè una forma breve che raccoglie una narrazione che potrebbe essere un romanzo, la storia di un destino.
Il primo, “Sogni” (1886), racconta di un fuggiasco, che non ricorda il proprio nome, allevato dalla madre serva in casa di padroni con un’educazione signorile, il quale viene accompagnato a piedi da due gendarmi. Il fuggiasco aspira alla “vita libera”, ma “quei sogni di felicità non si accordano con la nebbia grigia e il fango nerastro” del paesaggio circostante. L’aspirazione del fuggiasco è sottrarsi ai lavori forzati, perché, ignaro, ha portato un bicchiere avvelenato al padrone, di cui la madre era concubina. Per questo dice ingenuamente di aver dimenticato il nome. La sua aspirazione è coltivare un pezzo delle terre ancora libere in Siberia. Le due guardie dissipano brutalmente quei sogni: “Non ci arriverai di certo!” … “Chiaro che muore! Dove vuoi che vada!”.
Il secondo, “Agafia” (1876), è la storia di un ragazzone: Savka, una “sorta di splendido animale indifferente a qualsiasi lusinga sociale … simile a un leone che si prenda il disturbo di muoversi solo per accoppiarsi e mangiare” – come scrive Pia Pera nella “Postfazione”. La traduttrice con notevole sagacia introduce un punto di vista femminile nel racconto. Per Agafia, la giovane amante di Savka, che lo raggiunge con lo scoperto bisogno di congiungersi con lui, si ubriaca e va incontro “a passo baldanzoso” verso il marito, che la cerca e che indubbiamente la punirà, il corpo di Savka è “l’unica concepibile ‘terra libera’”, esattamente come la Siberia del fuggiasco.
Il terzo “Notte di Pasqua” (1886) racconta di una notte stellata in cui la voce narrante è un viaggiatore che si fa trasportare attraverso il fiume da un traghettatore, che è un monaco, la cui comunità monastica durante la festa non gli ha dato il cambio nel duro lavoro. Anche Ieronim è solo, come il fuggiasco e Agafia, anzi il monaco traghettatore non solo non può partecipare alla notte di festa e di resurrezione, ma è afflitto dalla perdita di un caro confratello. Lascerò anche in questo caso la chiusa del racconto alla curiosità del lettore, ma in essa vi è un’insistenza sullo “sguardo prolungato [in cui] c’era ben poco di virile” da far emergere un riferimento all’amore omossessuale, che la traduttrice tende ad escludere nella “Postfazione”: “Ci sono, certo, in ‘Notte di Pasqua’ abbracci, carezze, incontri furtivi, tuttavia estranei, mi pare, a qualsiasi dimensione sessuale, piuttosto ingenui, come tra cuccioli soli al mondo”. Ora dato che Cechov è uno scrittore di prim’ordine l’accumularsi dei dettagli, a cui fa riferimento la stessa Pia Pera, vorrà pur voler dire qualcosa. E vedervi l’emergere di un quid sessuale più o meno inconscio, per quanto meno esplicito di quanto troviamo negli altri due racconti, non mi sembra una forzatura.
Sicuramente in questi tre racconti troviamo alcuni tratti tipici dello stile di Cechov: il tema della solitudine, che l’autore aveva sperimentato dolorosamente durante l’infanzia e l’adolescenza, e una grandissima capacità di descrivere la natura e la psicologia dei personaggi con un tratto dissonante moderno. La traduttrice nota “il sentimento di solitudine quasi straziante, un tema che affiora nel’intero ‘Crepuscolo’, fino a presentarsi nei tre racconti qui scelti con una perfezione priva di smagliature”. Chiede il monaco traghettatore al viaggiatore con un accento leopardiano: “Festeggia l’intero creato. Ditemi soltanto una cosa, mio buon signore, com’è che pure in presenza di una grande gioia l’uomo non riesce a dimenticare le proprie afflizioni?”.