CALDANA – Nel giorno in cui la chiesa fa memoria della morte del suo Signore, la comunità diocesana di Grosseto è attraversata dal dolore per la morte di un suo caro sacerdote: don Enzo Mantiloni.
“Il Signore ha chiamato un suo servo buono e fedele, che ha amato la sua vocazione, l’ha onorata con il suo zelo, la passione per la missione, l’amore profondo all’Eucaristia e a Gesù, che ha servito nella gente e soprattutto nei malati, nei lunghi anni di impegno nel Centro Volontari della Sofferenza. Per questa chiesa è una grave perdita, ma, nel dolore, vogliamo dire grazie a Dio per averci donato don Enzo e per come è stato in mezzo a noi”, dichiara il vescovo Giovanni, che ieri, al termine della Messa crismale celebrata in cattedrale, aveva pregato, con tutti i sacerdoti e i fedeli per don Enzo.
Don Enzo è morto alle prime luci dell’alba di questo venerdì santo.
La salma sarà trasportata la domenica di Pasqua, alle ore 12, nella chiesa parrocchiale di Caldana dove la sera alle 21 si terrà una veglia di preghiera.
Le esequie saranno celebrate il lunedì dell’angelo alle ore 10 nella chiesa cattedrale di Grosseto. La salma sarà poi tumulata nel cimitero di Braccagni.
Don Enzo Mantiloni era originario di Castel del Piano, dove era nato il 23 agosto 1945.
“Quando fui ordinato – raccontava nel 2020 al settimanale diocesano Toscana Oggi in occasione dei suoi 50 anni di ordinazionazione sacerdotale – il mio padre spirituale del Seminario mi scrisse una bellissima lettera, nella quale mi ricordava che la sofferenza è una caratteristica che deve accompagnare la vita di un sacerdote”. E così è stato per don Enzo, sia nel suo lungo servizio nel Centro Volontari della Sofferenza, e nel vivere per primo la malattia.
Cresciuto in una famiglia modesta (il babbo mezzadro, la mamma custode della cosiddetta “chiesa piccina” nella Parrocchia dell’Arcipretura del paese), quando era ancora bambino si trasferì con la famiglia nella piana maremmana, tra Ribolla e Pian del Bichi, dove il babbo Rio si vide assegnato un appezzamento di terra con la riforma fondiaria. E il germe della vocazione sbocciò proprio in quegli anni. “Ricordo – raccontava quasi divertito – che, bambino di 6-7 anni, andavo ogni tanto nella sacrestia della chiesetta di cui mamma era custode, e rivestito di due piccoli “tappeti” tenuti insieme con due spilli a mo’ di pianeta, “dicevo messa” su un tavolinetto”. Arrivati in Maremma, ogni domenica la famiglia Mantiloni raggiungeva a piedi la chiesa di Montemassi e il piccolo Enzo serviva Messa al parroco, don Emilio Renzi, che poi, finita quella celebrazione, caricava Enzo sulla Vespa e lo portava con sé in una chiesetta patronale a Pescaia, dove il chierichetto gli serviva di nuovo Messa. Don Emilio intuì in lui una predisposizione alla vita di fede. E fu proprio il parroco, al termine delle scuole elementari, ad aiutare Enzo a entrare nel Seminario minore di Grosseto preparandolo anche all’esame di ammissione. Finite le medie, il giovane Enzo si trasferì al Seminario regionale di Siena. Nel frattempo la famiglia si era trasferita a Braccagni e il giovane seminarista perse prematuramente il babbo. “Mi furono di aiuto, in quegli anni, sia spiritualmente che economicamente – raccontava – il mio parroco, don Giorgio Gaggioli, e il rettore del Seminario diocesano don Umberto Ottolini”.
Enzo divenne prete il 17 maggio 1970. Ad ordinarlo, in piazza San Pietro assieme ad altri 277 giovani, fu il papa Paolo VI, oggi santo. La domenica dopo, il 24 maggio, don Enzo celebrò la sua Prima Messa nella chiesa parrocchiale di Braccagni.
Iniziò così il suo fecondo ministero sacerdotale. Per due anni vice parroco a Porto Santo Stefano, nel 1972 fu mandato parroco, ad appena 27 anni, ad Arcille. Ci rimase vent’anni. Nel 1992, infatti, il vescovo Scola lo volle parroco a Grosseto, nella comunità della Santa Famiglia. Esperienza che durò poco più di tre anni. Don Enzo, infatti, si sentiva più a suo agio, nel ministero di parroco, nelle piccole realtà. E così nel 1995 il vescovo Babini acconsentì al suo trasferimento e lo inviò parroco a Caldana, comunità dove è rimasto sino alla morte.
In Diocesi ha ricoperto vari servizi: più volte membro del collegio dei consultori e del consiglio presbiterale, faceva parte anche della commissione per gli Ordini e i ministeri ed era canonico onorario del Capitolo della cattedrale.
Un aspetto centrale nella vita personale e sacerdotale di don Enzo Mantiloni lo ha rivestito il rapporto con la sofferenza. “È stato un aspetto che mi ha interrogato già all’epoca del Seminario – raccontava a Toscana Oggi – un’estate chiesi di poter effettuare un’esperienza al Cottolengo di Torino e fu un impatto molto forte”. Poi l’ordinazione sacerdotale e quella lettera del padre spirituale che gli indicava la sofferenza come la strada del sacerdozio. Ma la vera svolta avviene negli anni in cui don Mantiloni è parroco ad Arcille. Qui, infatti, viene a contatto con l’esperienza del Cvs (Centro volontari della sofferenza), che ha accompagnato il suo cammino per oltre quarant’anni “rendendo ancora più bello il mio sacerdozio e il mio impegno pastorale nelle parrocchie”, raccontava. Per circa trent’anni don Enzo è stato anche responsabile di Casa Myriam, sorta a Marina di Grosseto nell’area della Parrocchia: luogo di accoglienza nel periodo estivo per persone malate o disabili e sede anche per gli esercizi del Cvs a livello locale. L’incontro con la sofferenza e il cammino nel Cvs ha prodotto, fra i tanti, due effetti particolari nella vita di don Mantiloni. “In primo luogo – diceva – uno sguardo diverso sul malato o il disabile, abituati come eravamo a percepirli solo come persone che avevano bisogno di noi “sani” e non, invece, soggetti protagonisti, anche nella vita della Chiesa”. L’altro dono è stato uno sguardo sempre più gioioso sulla fede: “Il cristianesimo è la religione della resurrezione – commentava don Enzo – e quindi della gioia, non dei musi lunghi. Troppe volte ci fermiamo al venerdi santo, ma non riusciamo a contemplare Cristo risorto”.
Sembrano parole profetiche. Don Enzo è morto nel venerdì santo conservando, però sino all’ultimo, nonostante la malattia che lo ha consumato, la serena fiducia in Cristo risorto.